A Etna Comics il lato giapponese di Catania La «mangamania» tra anime e cosplayer

Pile di manga, bicchieri di ramen fumante, ragazzini travestiti da personaggi degli anime, scolarette in minigonna a righe e calzettoni bianchi. Non siamo nel centro di Tokyo all’uscita della scuola, ma a Catania, dove la seconda edizione di Etna Comics si è tinta dei colori del Sol Levante dedicando al Giappone uno spazio all’interno del centro fieristico Le Ciminiere, che anche quest’anno ha ospitato la manifestazione per gli amanti di fumetti, videogiochi e cartoons. Stand, giochi, tradizioni, incontri e lo speciale Japan center, un angolo allestito appositamente per i fanatici della cultura orientale. Tra lezioni di origami, sushi e shodo (la calligrafia giapponese con i caratteristici ideogrammi), vestizione del kimono di guerrieri e geishe, dimostrazioni di shogi (gioco strategico da tavolo simile agli scacchi), degustazioni di tè, lezioni di lingua e di cucina, proiezione di cartoni animati, film e documentari e una sala dedicata all’immancabile karaoke. In più, una sessione giapponese di seminari, nel pomeriggio di sabato 15 settembre, dedicati alla storia dei manga e alle differenze tra i diversi generi, ma anche alle patologie legate a questa realtà.

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Una full immersion per grandi e piccini, che sabato pomeriggio hanno letteralmente invaso i corridoi delle Ciminiere, per portarsi a casa un fumetto da collezione o un gadget oriental style, ma anche per partecipare a tornei di danza su piste virtuali, o per assistere a spettacoli di musica giapponese, con esibizioni live e dj-set, in cui scatenarsi fino a tardi a ritmo di J-rock (rock giapponese). E soprattutto un paradiso per i moltissimi cosplayer catanesi, che si sono sbizzarriti vestendo i panni – più o meno somiglianti – dei loro personaggi preferiti di anime e fumetti. Tra costumi amatoriali e perfette riproduzioni dei protagonisti classici e moderni. «Sembriamo dentro una puntata di Ranma», commenta guardandosi intorno una ragazza mentre, bacchette alla mano, tentava di tirar su gli spaghetti di riso del suo ramen.

Protagonista assoluto il manga, in tutte le sue forme. Dal semplice fumetto, a anime (cartone animato giapponese), film e videogiochi. E in tutte le sue diverse tipologie. I manga, infatti, non sono tutti uguali, ma si possono suddividere in diversi generi. A spiegarlo al pubblico di Etna Comics è Miki Tori, disegnatore e sceneggiatore tra i più famosi in Giappone, soprattutto per le sue gag comiche, che cita per esempio la differenza tra Doujinshi manga – una sorta di «fumetto autobiografico, che ricalca le avventure vissute dallo stesso autore», e Sh?ujo manga – più famosi e diffusi, raccontano la storia di una ragazza giovane, tra relazioni amorose e romanticismo.

Per i ragazzi giapponesi quella per i manga e realtà virtuale è una vera e propria mania, che spesso si trasforma in ossessione, causando anche alcune patologie molto diffuse tra Giappone e Corea del Sud. Come il fenomeno degli Hakikomori, che, come spiega Tamaki Saito – medico psichiatra, considerato il più grande esperto mondiale di patologie legate ai manga – identifica i giovani che «tendono ad isolarsi, senza mai voler uscire dalla loro camera, in cui stanno rinchiusi anche più di sei mesi, rifugiandosi in fumetti, internet e videogiochi, spesso creando anche una realtà parallela da cui faticano ad uscire». Casi clinici estremi, che non dipendono strettamente dai manga, ma «dal contesto culturale giapponese, dal modello della famiglia e dalla troppa dipendenza dai genitori», spiega Saito. Recentemente qualche caso si è verificato anche in Occidente, dove i paesi più colpiti sono Italia e Spagna. Caso diverso per gli Otaku, i fanatici dei manga. Per loro non si tratta di una malattia, ma di una fortissima ossessione. In Giappone il termine assume implicazioni negative, mentre in Italia viene usato per identificare i maniaci di tutto quello che ha a che fare con la cultura giapponese degli anime.

«Non c’è più cognizione per la realtà. Sono fissati, sembrano tanti cartoni animati», afferma sorpreso un addetto alla sicurezza che si aggira tra stand e cosplayer. Non è la realtà, certo. Ma da bambino, chi non ha mai sognato almeno di una volta di trasformarsi nell suo personaggio dei cartoons preferito?


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