E' stata depositata la sentenza della Cassazione che stabilisce l'esclusione dei blog dal reato di stampa clandestina. Vittima per anni dell'accusa, il blogger ragusano Carlo Ruta che a causa delle sue inchieste sui gruppi bancari e sull'omicidio di Giovanni Spampinato si è visto oscurare il proprio sito. Una battaglia legale lunga otto anni, conclusa con un finale agrodolce
Stampa clandestina, assolto Ruta Odissea finita: «Una sentenza libertaria»
Il reato di stampa clandestina non è applicabile ai blog. Con questa storica sentenza della Cassazione, pronunciata lo scorso 10 maggio e depositata lunedì scorso, si conclude il lungo calvario di Carlo Ruta, blogger e saggista ragusano condannato già per i primi due gradi di giudizio. «Sono soddisfatto – afferma – E’ una sentenza che ci ha dato molto più di quanto avevamo chiesto». Nel maggio 2004 il suo blog Accade in Sicilia è stato oscurato, provocando un ampio dibattito sulla libertà d’informazione online e sul ruolo dei blog.
La legge che regola la stampa, secondo i giudici della suprema corte, non è applicabile ai blog in quanto non riproducibili tipograficamente e – inoltre – non agevolati dai finanziamenti pubblici. «Sono tre pagine di una chiarezza cristallina, una sentenza libertaria. Ha esposto un nuovo paradigma per un web libero nel quale si può liberamente informare», spiega deciso Ruta.
Una lunga vicenda giudiziaria che ha segnato inevitabilmente il giornalista ragusano. Anche economicamente. «Ho dovuto stilare memorie, incontrare i legali e i giudici, presenziare alle udienze». Ma a incidere notevolmente in questi lunghi anni sono stati gli alti costi morali, giudicati in una parola «notevolissimi». «Il sito è stato oscurato da subito. Quello che era un vero e proprio progetto d’informazione è stato abbattuto. E poi – conclude – c’era la rabbia per la consapevolezza di essere una persona per bene». Rabbia, però, che non si è mai trasformata in questi anni in un sentimento di rivalsa. «Non guardo al passato, non riaprirò nemmeno il blog. Quelle inchieste sono ormai chiuse. I miei cari – continua – mi hanno anche consigliato di chiedere allo Stato un risarcimento ricorrendo alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ma non credo che lo farò».
La «risposta rabbiosa che non mi sarei mai aspettato» arriva nel 2004. Due i filoni che hanno attirato le attenzioni sbagliate: «I grandi gruppi bancari nazionali e territoriali e le indagini sull’omicidio di un giornalista ragusano, Giovanni Spampinato, ucciso nel 1972». Prima le querele e le denunce, poi il repentino oscuramento del sito attraverso «un’accusa reazionaria». Dopo due condanne in primo e secondo grado, Carlo Ruta definisce l’assoluzione stabilita dalla Cassazione una vittoria a metà. «Ci sono riusciti, quelle inchieste sono ormai chiuse. Ma questa sentenza è una vittoria che non riguarda solo me».
Infatti quella che poteva sembrare una battaglia legata soltanto al suo lavoro, è diventata una vicenda che ha attirato l’attenzione anche a livello internazionale. «Mi sono da subito reso conto della gravità dell’accusa. Non era più una vicenda personale – afferma – ma riguardava tutte le persone che in Italia lavorano nel web».
Una legge vecchia, una coperta logora utilizzata senza successo per coprire anche internet. Ma che al Parlamento potrebbe bastare. Prima del pronunciamento della Cassazione sul caso di Carlo Ruta, solo le testate interessate ai finanziamenti pubblici avevano l’obbligo di registrazione. Ma lo scorso 18 maggio è stato allargato anche per quanti hanno ricavi dai propri prodotti editoriali online superiori ai 100mila euro. Un lieve ritocco di una legislazione per la quale non sembrano esserci all’orizzonte modifiche sostanziali o quantomeno aggiornamenti.
Per quanto riguarda la sua vicenda, Ruta la descrive come «una sentenza che dovrebbe guidare i passi del legislatore, se i parlamentari vogliono mantenere un principio di coerenza con quanto deciso dai giudici».
[Foto di tarop]