Processo Sibilla, quell’incontro a casa di Barbagallo «Non si parlò di voti». Dai testimoni tante amnesie

Carte o tappe? O, per essere più precisi, catti o tappiSu questa presunta difformità nella trascrizione di un’intercettazione ambientale è iniziata la nuova udienza del processo Sibilla, che vede come principale imputato l’ex sindaco di Acireale Roberto Barbagallo. Nell’aula della terza sezione penale è ripreso l’esame dei testi dell’accusa. Quattro le persone chiamate dal pm Fabio Regolo per chiarire i contorni dei rapporti esistenti, a fine 2017, tra l’allora primo cittadino acese e i fratelli Sebastiano e Salvatore Principato, di professione venditori ambulanti di frutta e verdura. 

Ma prima dell’inizio degli interrogatori, a sollevare un dubbio rispetto al contenuto di una delle tante intercettazioni effettuate dalla guardia di finanza, è stata la difesa di Barbagallo, rappresentata dagli avvocati Enzo Mellia e Piero Continella. Per i legali, infatti, ci sarebbe un errore in una conversazione che i periti nominati dal tribunale non hanno ricevuto. Nella scorsa udienza si era deciso che questo dettaglio non fosse importante e che si poteva procedere con la trascrizione degli investigatori. Oggi, però, la difesa ha presentato una perizia di parte in cui si sottolinea come una frase trascritta nella forma «c’abbruciamo i catti (gli bruciamo le carte, ndr)» sarebbe invece da intendere come «abbruciamu i tappi (bruciamo le tappe, ndr)». Il tribunale, tuttavia, dopo una lunga camera di consiglio ha rigettato la proposta di accogliere il documento, anche in considerazione del fatto che l’osservazione non era stata presentata quando a deporre sono stati i periti.

L’incontro al centro dell’attenzione avviene il 21 ottobre di due anni fa, nell’androne del palazzo in cui abita Barbagallo, quando mancano poche settimane alle elezioni regionali. Il riferimento all’appuntamento con le urne per l’accusa è fondamentale: secondo i magistrati, infatti, nei giorni precedenti Barbagallo avrebbe inviato l’agente di polizia municipale Nicolò Urso nel luogo dove gli ambulanti esercitano la professione, con il chiaro intento di mettere loro pressione e fare sì che gli stessi chiedessero un colloquio con il primo cittadino. L’obiettivo, è questa la tesi dell’accusa, sarebbe stato quello di chiedere voti per il deputato Nicola D’Agostino (estraneo alle indagini, ndr) in cambio della disponibilità a non calcare la mano con le eventuali sanzioni amministrative che sarebbero potute scaturire dai controlli sull’attività dei Principato. All’appuntamento partecipano in cinque: oltre a Barbagallo e ai due commercianti, ci sono anche Rosario Trovato e Luca Raimondo con il ruolo di mediatori. Una posizione dettata, a detta degli stessi, dal vivere nella stessa frazione, Aci Platani. Raimondo, inoltre, in quel periodo era anche consigliere comunale.

In merito ai temi affrontati, Trovato e Raimondo (ascoltati oggi) hanno specificato di non avere discusso di elezioni. Né del precedente controllo fatto dal vigile Urso sui mezzi dei Principato. Il confronto avrebbe invece riguardato un’altra attività portata avanti dai commercianti: la raccolta di carta e cartone negli esercizi commerciali della zona. La pratica, svolta in assenza di licenze specifiche, in quei mesi era minacciata dall’avvio ad Acireale della raccolta differenziata: «Mi sono permesso di cercare un incontro – ha dichiarato Trovato rispondendo alle domande del pm -. Questioni elettorali? Assolutamente, abbiamo parlato esclusivamente di cartoni. Ero presente per vedere se potevo aiutarli a continuare a prendere i cartoni. Ma il sindaco ha spiegato che non si poteva fare». Il teste poi, rispondendo all’avvocato Mellia, ha detto che la frase pronunciata era di certo riferita a «bruciare le tappe». 

A escludere ogni riferimento alle imminenti elezioni è stato anche l’ex consigliere Raimondo. «Facevo parte della maggioranza e condividevo il programma del sindaco, ma non ero impegnato direttamente nella campagna elettorale perché ho sempre rispettato il pensiero dei cittadini», ha messo a verbale. Raimondo ha poi tenuto a specificare di non essere stato l’organizzatore dell’incontro a casa di Barbagallo, ma di avere solo fatto da tramite con il sindaco. Davanti alla circostanziata descrizione dei contenuti dell’incontro – la vicenda del cartone – e al contempo al ricordo decisamente più debole dei contenuti della telefonata avuta precedentemente con il sindaco, il pm è intervenuto: «Lei si ricorda precisamente che vi siete detti sul posto, ma non si ricorda la telefonata, strano».

Ricco di non ricordo, inoltre, è stato l’interrogatorio di Angelo Callari, parente dei venditori ambulanti. L’uomo, intercettato, dice ai Principato che l’incontro con Barbagallo avrebbe riguardato di certo il tema elettorale. «Ma lui ti ha cercato perché vuole il voto», è la frase agli atti del processo. Tuttavia davanti al giudice Callari ha più volte ripetuto di non avere memoria di quella telefonata e, dopo essere stato messo davanti alla trascrizione, ha spiegato di non avere fatto riferimenti precisi a una presunta pratica di Barbagallo. «Qui nessuno fa minacce, ma se non dice la verità rischia di trovarsi incriminato per falsa testimonianza», ha sbottato l’accusa.

A chiudere gli interrogatori è stata la deposizione di Antonio Molino, comandante dei vigili urbani di Acireale. A lui è stato chiesto di chiarire le dinamiche che hanno portato Barbagallo a chiedere direttamente l’intervento di Urso. «Non sapevo che avesse fatto un controllo ai Principato, l’ho saputo dopo (l’indagine, ndr)», ha risposto Molino, aggiungendo di essere a conoscenza di un rapporto diretto tra il vigile, all’epoca dei fatti da poco nominato luogotenente, e l’ex primo cittadino. Molino ha anche detto che Urso non aveva compiti di controlli agli esercizi commerciali. Al che il pm ha chiesto come mai allora avesse risposto immediatamente alla richiesta del sindaco. «Immagino sia avvenuto in ossequio all’autorità», ha risposto Molino. La prossima udienza si terrà il 26 settembre. 


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