Il vestito con le tasche per spacciare all’Afrobar Pasticche e cocaina dalla Colombia alla movida

«Ma perché, stasera ci serve avere le tasche?». «E sì, vita mia… Lo so… La salopette quella bella con le tasche era quella corta. Ma questa è quella lunga… Se c’è freddo». Ci sono due donne che discutono di abbigliamento, pronte per andare a una serata di ballo all’Afrobar, la discoteca notturna del lido La cucaracha. È il 10 settembre 2017, la stagione estiva sta per finire alla Playa sta per finire. Desirée Settipani (classe 1991) e Federica Di Grande (classe 1993) si preparano per spostarsi dal Siracusano, dove abitano entrambe, a Catania. Nel locale di viale Kennedysecondo la procura di Messina che ha eseguito ieri il blitz Caffè blanco, le due avrebbero dovuto spacciare droga al dettaglio per conto del gruppo guidato da Salvatore Alfio Zappalà. Per i magistrati messinesi, è Zappalà (41enne di Piedimonte Etneo) a dirigere un’associazione a delinquere in grado di acquistare droga dalla Colombia e importarla in Italia tramite semplici corrieri postali. Per di più pagandola con bonifici Western union.

La serata all’Afrobar viene ricostruita dagli inquirenti grazie alle intercettazioni telefoniche. Settipani racconta di essere stata già inserita nell’elenco di chi potrà entrare gratis in discoteca. L’organizzatore «mi ha fatto mettere in lista – dice, registrata dagli investigatori – Mi ha chiamato e mi fa: “Ma come sei combinata?”. Gli ho detto: “Gioia, sempre come l’ultima volta io ti posso aiutare”. “Va bene”. Domani mi devo vedere con lui». In effetti, quella notte si sarebbe tenuta una festa organizzata. Tra gli altri promotori della serata, c’è proprio l’uomo nominato, che lavora da tempo nell’ambiente delle discoteche catanesi. E non solo all’Afrobar.

Messaggi e telefonate dal cellulare di Settipani vanno avanti per tutta la notte e fino alle 7.40 del mattino dell’indomani, quando la giovane contatta Zappalà: «Mi sono levata solo i vestiti, quelli che erano di meno, quelli della notte, va’… I vestiti del giorno mi sono rimasti». Per la procura, «i vestiti» è un modo di chiamare la droga da vendere in discoteca. «Vabbè, ora c’è l’after», le risponde Salvatore Zappalà. L’«after» è quando la festa continua oltre l’orario di chiusura e si trascina fino al giorno dopo. Lei risponde che resterà e che spera di finire i vestiti. Poi racconta: «Quindici coperte le ha volute coso, come minchia si chiama (e cita l’organizzatore, ndr). E ancora me li deve dare (i soldi), e poi un altro ha voluto tre paia di calze. Mi fa “Desi, ne hai?”».

Secondo i magistrati, le diverse diciture si riferiscono a sostanze stupefacenti di tipo differente. Perché si conosca il guadagno della serata, però, bisogna attendere la sera. Alle 19.10 Zappalà viene a sapere l’importo guadagnato: 250 euro. «Ma come? – risponde lui, deluso – Se 150 te li doveva dare solo coso, come si chiama?». Lei replica con il nome dell’uomo che l’aveva fatta mettere in lista. La conversazione si fa fastidiosa: lui non le crede, lei risponde di potere spiegare gli importi numeri alla mano. Poi si lamenta con un altro amico: «Io tutto quello che è rimasto ora glielo torno – sostiene – E lo mando a fare in culo. Basta, mi sono seccata, se devo andare a ballare ci vado per divertirmi». 

In realtà, lei con Zappalà non riesce a tagliare i ponti. E alla sua richiesta di spiegazioni («Bella, ma te la posso dire una parola? Ma tu ti fai i cazzi tuoi con i cazzi miei senza neanche dirmi niente?»), lei chiede scusa e ammette l’errore: avere fatto prezzi di favore agli amici. «Sono sicura al cento per cento di non avere regalato niente a nessuno – si lamenta lei con l’amico di prima – Quanto meno di avere fatto un prezzo tutt’al più un po’ più basso […] Io sono schifata, non abbiamo più niente da dirci». Ma i due continuano a parlarsi per mesi. 

Riceviamo e pubblichiamo dal Sig. Giuseppe Fino:
«Io non so a chi fa riferimento l’articolo in questione e che rapporti abbia con me, quello che so di sicuro che non si tratta dell’organizzatore della serata visto che, fino a prova contraria, l’unico organizzatore sono io.
Sono solidale e orgoglioso del lavoro svolto dalle forze dell’ordine, organizzo eventi con più di 3000 presenze statisticamente penso che sia normale trovare dei soggetti del genere come in qualsiasi ambito sociale e specialmente in luoghi di aggregazione come discoteche, la cosa che non accetto è quella di infangare il mio nome associandolo a queste persone. Vi chiedo di fare immediatamente una rettifica e specificando che l’organizzatore dell’evento non ha nessun tipo di rapporto con le persone citate nell’articolo».

Risposta di MeridioNews:
«Gentile Sig. Fiolo, come avrà avuto sicuramente modo di leggere il suo nome non compare in nessuno dei passaggi dell’articolo in questione. Com’è noto, attorno al mondo delle serate in discoteca ruotano decine di persone, compresi numerosi pr che si occupano di liste e ingressi. Particolare, quest’ultimo, a cui viene fatto riferimento nel nostro articolo basato sui documenti dell’inchiesta della procura di Messina».


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