Elezioni UniCt, il prof Cariola nel ruolo dell’outsider «Inchiesta della procura? Menomale che c’è stata»

«L’inchiesta della procura? Mi posso permettere un paradosso? Bene: menomale che c’è stata. Se ci sono responsabilità, le accerterà il tribunale. E spero che lo faccia molto presto, perché l’università di Catania ha bisogno di riprendersi e di riabilitarsi. Ma se non ci fosse stata, noi a quest’ora saremmo in ferie, al mare o a scrivere libri. Invece siamo tutti qui a incontrarci, a parlare, a discutere insieme del futuro di questo ateneo e di come lo si possa salvare. Questo è un segno di vitalità enorme». Il professore Agatino Cariola è, da sempre, un uomo equilibrato. Docente di Diritto costituzionale, professionista stimato dalle decine di amministrazioni pubbliche che scelgono lui per dirimere questioni complesse (si pensi, per esempio, al ricorso contro il dissesto al quale ha lavorato per conto del Comune di Catania) e adesso anche candidato alla carica di Magnifico rettore dell’università di Catania.

Professore, perché ha deciso di candidarsi?
«Per Dante, gli ignavi non meritavano né di stare in un girone dell’Inferno né di godere delle gioie del Paradiso. Li metteva in un interregno, poiché non poteva giudicarli. Avrei sentito un rimorso nei confronti di me stesso se non avessi partecipato. Io non voglio essere uno di quelli che stanno a guardare dalla finestra le cose che capitano, voglio essere attivo in questo processo che sarà la definizione del nuovo rettore. Negli incontri che stiamo facendo vedo una grande voglia di democrazia, sto imparando moltissimo e sto assistendo a un momento di grande vitalità dell’ateneo».

Lei, però, si è sempre interessato di politica. Non fosse altro perché ci ha lavorato spesso a stretto contatto.
«La prima persona che mi ha spiegato il funzionamento delle istituzioni e i ruoli che in esse si delineano è stato mio padre. A casa mia, quando ero bambino, ogni sera si guardava il telegiornale. Per cui è vero: mi sono sempre interessato di politica, ma come se ne dovrebbe interessare qualunque cittadino, con la stessa attenzione con cui ognuno dovrebbe seguirla per conoscere il Paese in cui vive. Io, poi, mi occupo di Diritto costituzionale, per cui è anche una deformazione professionale. Ma fare politica è un’altra cosa: fare politica è andare alla ricerca del consenso e io non lo facevo dalla mia ultima candidatura: erano i tempi del liceo. Lei ha mai partecipato a un’elezione nel suo istituto?».

Come molti altri.
«Ecco, io sono tra questi».

Lei è considerato uno degli outsider. La candidatura è arrivata a sorpresa, proprio all’ultimo giorno utile per la presentazione della domanda: vuole essere il Rettore della discontinuità? Cosa vuole cambiare di questa università?
«Sa una cosa? A me viene molto da ridere a sentire, oggi, persone che parlano di discontinuità. Persone che erano all’interno di certi cerchi magici, con parenti coinvolti nell’inchiesta, che adesso aderiscono convintamente a questa retorica. Io voglio starne fuori. Che io sia discontinuo oppure no, lo dice la mia storia. Oggi in tanti si attribuiscono quella spilletta pur essendoci stati dentro fino a ieri. Io da solo non cambierò niente: lo farò insieme all’intero corpo accademico. Sicuramente ci sarà da lavorare sulla trasparenza e sulla legalità».

In molti dicono che quello che è successo paralizzerà l’università, che non si faranno più concorsi perché nessuno accetterà più di fare parte delle commissioni o di impegnarsi per i propri allievi. Lei che ne pensa?
«La paura è una difficoltà che dovremo affrontare. Leggo sulla stampa che questi problemi si ripropongono in molti atenei. In realtà penso che stiamo scontando la difficoltà di spiegare come funziona la legge. La legge Gelmini dà la possibilità di indire concorsi anche nel caso in cui ci sia un solo possibile partecipante. Riesco a farlo comprendere solo quando faccio ricorso a questo esempio: che pensiamo dei bandi di stabilizzazione degli articolisti (i precari storici delle pubbliche amministrazioni, ndr)? Ci saranno sempre i puristi, quelli che dicono che il problema è altrove. Ma così vorrebbe dire che l’intero sistema è criminogeno. Io dico: siamo succubi di una legge fatta dalla politica, allora si modifichi la legge».

Ha già in mente come comporrà la sua squadra? Chi saranno i suoi delegati e su cosa si concentrerà in caso di elezione?
«La mia squadra sarà il Senato accademico, e questo deve essere chiaro. Il Rettore non è un ducetto, non deve avere una struttura parallela a quella statutaria. I miei delegati faranno solo da collegamento con i direttori di dipartimento. Lavorerò con tutti per aiutare questa università a trovare risorse, in modo aziendale, senza demonizzare la parola “azienda”. In un territorio ripiegato su se stesso come è il nostro, l’università è uno dei soggetti imprenditoriali più rilevanti».

A proposito di statuto. È da cambiare (di nuovo)?
«Molti hanno dimenticato quando venne varato uno statuto che aveva avuto il parere contrario del ministero dell’Università e della Ricerca. Molti hanno dimenticato l’onta del Miur che ricorre contro un atto che ritiene illegittimo. Molti hanno scordato che abbiamo perso anni perché una sentenza del Tar di Catania, con diversi punti discutibili, non ha accolto immediatamente il ricorso ministeriale e ci ha condannati all’attesa di ulteriori pronunciamenti. Io non dimentico i tempi in cui si immaginava un rettore con troppi poteri, per fortuna fermato. I cambiamenti da fare ci sono. Alcune cose sono previste dalla riforma Gelmini: il mandato sessennale, per come la vedo io, è antidemocratico. Lei se lo immagina un deputato che non si può ricandidare? Perfino i grillini sono tornati indietro. Lei se lo immagina qualcuno che non deve passare dalla conferma del corpo elettorale? Però con queste regole giochiamo. E allora lavoriamo sull’autonomia dei dipartimenti, su un nuovo equilibrio tra accentramento e decentramento. Facciamo un restyling del consiglio di amministrazione e rendiamolo più partecipe della vita dell’ateneo. Aumentiamo la democrazia».

Se al primo turno lei dovesse essere indietro, si ritirerebbe?
«È un problema che mi porrò il 23 agosto. Adesso mi scusi, devo tornare a cercare consenso».  


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