Rifiuti e corruzione, torna sotto i riflettori Aci Catena Impiegato ai domiciliari. In rapporti con Guglielmino

Un rapporto «collaudato» che sarebbe stato in grado di incidere sul «corretto sistema di gestione della raccolta dei rifiuti del Comune di Aci Catena». Da un lato ci sarebbe stato l’imprenditore Vincenzo Guglielmino, deceduto il 9 dicembre 2018, dall’altro il dipendente pubblico Giuseppe Castro. Al centro un lungo filo rosso che avrebbe messo insieme il business dei rifiuti, le ombre della mafia targata clan Cappello e Laudani e un presunto giro di mazzette ai piani alti dell’amministrazione. Dettagli già emersi nei mesi scorsi con l’operazione Gorgoni ma che adesso si arricchiscono di un nuovo capitolo. Quello che ha portato agli arresti domiciliari Castro. Destinatario della misura cautelare perché accusato di corruzione proprio nell’ambito della gestione dei rifiuti ad Aci Catena.

Castro, attualmente in servizio al settore Urbanistica, vanta un passato importante all’Ecologia. Secondo gli inquirenti sarebbe stato lui il «punto di riferimento» dell’imprenditore Guglielmino. Quest’ultimo all’epoca dei fatti titolare della EF Servizi ecologici, società attualmente in amministrazione giudiziaria affidataria dell’appalto di spazzamento, raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani. Guglielmino era finito in manette nell’ambito dell’operazione Gorgoni a novembre 2017 con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, corruzione e turbata libertà di scelta del contraente. Sotto la lente d’ingrandimento finirono, in particolare, i rapporti con Massimiliano Salvo, boss del clan mafioso dei Cappello, e quelli con l’ormai ex sindaco Ascenzio Maesano

Castro nelle carte di quell’inchiesta – l’attuale stralcio si è concluso nell’estate 2018 – veniva citato decine di volte. Con la sua voce captata dalle cimici piazzate dagli inquirenti per monitorare Guglielmino. A marzo 2016, per esempio, l’imprenditore gli raccontava delle difficoltà che stava riscontrando per ottenere l’appalto dei rifiuti. Qualche mese prima, invece, l’oggetto della discussione era la reggenza del boss Salvo all’interno del clan Cappello. Secondo l’accusa Castro avrebbe compiuto, sistematicamente nella qualità di funzionario pubblico, «atti contrari ai doveri d’ufficio e in violazione ai doveri connessi al rapporto di pubblico impiego. Assicurando una concreta e duratura messa a disposizione degli interessi privati dell’imprenditore, in violazione ai suoi doveri di imparzialità e correttezza».

In cambio, almeno secondo l’accusa, il dipendente pubblico avrebbe beneficiato da Guglielmino di somme di denaro e assunzioni. In particolare quelle di alcuni familiari, ovvero dei due figli, del fratello e del nipote. Più in generale, scrivono gli inquirenti in una nota stampa, Castro si poneva come «vero e proprio dominus» anche nella gestione del lavoro dei dipendenti della EF. 


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