Aci Catena, primi rinvii a giudizio per i Santapaola Gli interessi del clan tra droga, estorsioni e politica

È ripresa nell’aula terza del carcere di Bicocca l’udienza preliminare del processo Aquilia sulle attività del clan Santapaola-Ercolano ad Aci Catena. Il blitz, scattato un anno fa, portò all’arresto anche di Pippo Nicotra, il 63enne imprenditore e politico, finito in carcere con le pesanti accuse di concorso esterno in associazione mafiosa, voto di scambio politico-mafioso e tentata estorsione. Di Nicotra, che da tempo si trova ristretto ai domiciliari, oggi però non si è parlato. 

All’ordine del giorno, infatti, c’era la posizione degli imputati che hanno chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato. Prima, però, la gup Anna Maria Cristaldi ha rinviato a giudizio coloro che il 17 settembre avevano scelto il rito ordinario. Tra loro Camillo Brancato, Giovanni Cammarata, Cirino Cannavò, Concetta Cannavò, Gabriele Privitera, Nino Quattrocchi e Mario Musmarra. Successivamente il sostituto procuratore Marco Bisogni, ha discusso le accuse a carico di buona parte delle figure accusate di fare parte dell’organigramma dei Santapaola-Ercolano nel centro catenoto. 

A indicarli come tali sono stati i collaboratori di giustizia Santo La Causa e Mario Vinciguerra. Il primo in passato a capo dell’ala militare della famiglia mafiosa etnea, il secondo reggente della cosca nella città del limone verdello a inizio anni Duemila. Entrambi hanno parlato delle attività criminali messe in atto su più fronti: dalle estorsioni ai commercianti della zona agli affari legati al mondo della droga, fino agli intrecci con la politica. Ed è in quest’ambito che emerge la figura di Nicotra. Già sindaco di Aci Catena a inizio anni Novanta, quando il consiglio comunale venne sciolto per i rapporti da lui intrattenuti con il boss Nuccio Coscia, e a metà anni Duemila, Nicotra è stato anche deputato regionale per tre legislature. Una carriera politica costellata dal passaggio in tanti partiti – dal Nuovo Psi all’Mpa, dal Pdl all’Udc, per passare poi ad Articolo 4 e infine al Pd – ma anche, secondo la Dda di Catania, dalla vicinanza a Cosa nostra.

In cambio di sostegno economico alle famiglie dei detenuti, favori e assunzioni di persone indicate dalla cosca, Nicotra avrebbe ottenuto voti in occasioni delle competizioni elettorali. I legami sarebbero stati tali da portare il 63enne a chiedere l’intervento dei Santapaola per dirimere controversie di carattere privato con un socio della ditta edile della moglie. Tutte accuse a cui Nicotra, sin dai primi interrogatori seguiti all’arresto, ha risposto dichiarandosi vittima della mafia. L’imprenditore, che ha costruito le proprie fortune economiche nel settore della grande distribuzione, ha raccontato di essere stato costretto a pagare il pizzo da metà anni Settanta. Una sudditanza che negli ambienti investigativi era stata ipotizzata già nel 2009 ma che Nicotra, dopo una prima ammissione al maresciallo dei carabinieri di Aci Catena, aveva negato davanti ai magistrati, finendo per essere indagato per favoreggiamento.

L’episodio è stato ricostruito dal pentito La Causa. Lo stesso ha raccontato ai magistrati di un incontro avuto con Nicotra vicino a un suo supermercato, per il quale La Causa, all’epoca latitante, si sarebbe presentato travestito da benzinaio con l’intento di chiedere al politico catenoto un intervento per chiedere il cambio di destinazione d’uso di alcuni terreni agricoli che il mafioso voleva acquistare ma anche il pagamento del pizzo per alcuni capannoni aperti da Nicotra nella zona industriale di Catania. Fatti che verranno analizzati a partire da novembre.


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