Il rampollo Ferlito e gli affari con la ‘ndrangheta a Torino La droga e i pedinamenti. «Questi catanesi sono pignoli»

Dal suo bar nella periferia di Torino avrebbe diretto un enorme traffico di droga sulla rotta Piemonte-Sicilia. Carichi di cocaina, hashish e marijuana importati da Olanda e Spagna, passando dalle mani di grossisti albanesi, e poi spediti su gomma a Catania. Finito in manette nell’operazione Cerbero che nei giorni scorsi ha sgominato una holding della ‘ndrangheta specializzata nel narcotraffico, Michelangelo Versaci, 32 anni, è uno degli uomini che avrebbe fatto affari «con i catanesi». Amicizie importanti come quelle con i cugini Roberto e Antonio Ferlito. Rispettivamente figlio e nipote dello storico capomafia Alfio, ucciso nell’estate 1982 durante un trasferimento dal carcere di Enna a quello di Favignana. 

Un cognome pesante che però, almeno sentendo i dialoghi intercettati, si collocherebbe fuori dalle logiche interne dei clan che popolano Catania. «Lavorare con la mafia? Difficilmente. Quando io e mio fratello abbiamo guadagnato 30mila euro in questo carico per me sono buoni». Ferlito e Versaci sono due rampolli di famiglie mafiose. Il secondo, che secondo gli investigatori è inserito nella locale ‘ndranghetista di Volpiano, nell’hinterland torinese, è figlio di Giovanni, 68 anni, nato a San Luca, in provincia di Reggio Calabria. L’affiliazione alla mafia calabrese del 32enne risalirebbe al 2008, in un crescendo di interessi che spazierebbero dal bagarinaggio dei biglietti della Juventus al narcotraffico.

I cugini Ferlito vengono pedinati in lungo e largo durante i loro soggiorni a Torino. Vengono fotografati all’aeroporto di Caselle e nei pressi del Novotel, albergo quattro stelle dove erano soliti alloggiare. In mezzo ci sono gli incontri con Versaci e Vincenzo Pasquino, anche lui nato a Torino come Versaci ma in stretti rapporti, anche di parentela, con alcuni trafficanti originari di Catania. Per gli investigatori i cugini Ferlito avrebbero movimentato un fiume di capitali tanto da essere bollati come «clienti stabili e affidabili del sodalizio». Le cose però non sempre andavano bene. In un’occasione il carico di marijuana acquistato non avrebbe soddisfatto i Ferlito, tanto da essere restituito indietro. «Minchia, il catanese mi ha scritto che sono dieci (chili, ndr)», spiegava Pasquino a Versaci.

A questo punto l’uomo racconta di avere contattato il loro fornitore per informarlo del problema. «Gli ho detto: “Io te l’ho detto che questi catanesi sono pignoli e questi in ogni pacco hanno trovato 250 che fanno schifo e quelli l’hanno pagata cinquemila euro al chilo». In un mercato che viaggiava su cifre a cinque zeri i problemi si sarebbero allargati anche al risanamento di alcuni debiti. Una fornitura da 30 chilogrammi, conclusa a fine settembre 2016, sarebbe stata pagata dai Ferlito con 150mila euro. Il grosso della somma sarebbe finita al fornitore della droga mentre Pasquino e Versaci avrebbero trattenuto 15mila euro di guadagno. Restavano scoperti quasi 60mila euro, forse frutto di un precedente accordo non sanato: «Non ragionare con la bocca – spiegava Versaci – ragiona con il cervello. Se succede una disgrazia tu perdi 50mila euro».

Tra le intercettazioni in mano agli inquirenti, una assume un valore particolare. A parlare sono Versaci e Roberto Ferlito. Si tratta di una lunga conversazione dove il primo fa al secondo una panoramica sulle roccaforti della ‘Ndrangheta in Calabria. «L’ombelico di tutto il sistema è Platì – spiega Versaci – Ci sono dei bei rami. San Luca? È un po’ così … tutti questi arresti, tutti questi ragazzi giovani». Ferlito si dimostra curioso e non disdegna le domande: «Come mai avete i canali in Spagna e non la comprate in Spagna la coca?», chiedeva il catanese. «Se devo comprare compro in Olanda – replica Versaci – ormai tutti questi albanesi portano la roba da là». «Da Rotterdam…», aggiungeva Ferlito. «Bravo, una macchina con 20 la compri a 23, 24 e ti arriva qui finita a 25».


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