Banca Base e il caso della trattativa con il fondo maltese «Simulato interesse degli investitori». Ombre su un broker

«Operazioni dolose» che avrebbero aggravato la crisi della banca, tanto da farle raggiungere un passivo di 38 milioni di euro che di fatto ne ha decretato la fine. I titoli di coda di banca Base non passano solo per il commissariamento e la dichiarazione di fallimento, risalente alla vigilia di Natale del 2018. Adesso si è aggiunta anche l’inchiesta della procura di Catania. Venti persone nel mirino tra cui due finite agli arresti domiciliari nell’ambito dell’operazione Fake bank. Si tratta di Pietro Bottino, presidente del consiglio d’amministrazione dal 2013, e Gaetano Sannolo, ex direttore generale. Secondo i pm dietro il crack dell’istituto nato nel 2007 con 226 soci, non ci sarebbero solo i crediti erogati a chi non aveva le garanzie per poterli restituire, ma anche «l’avere simulato l’esistenza di investitori internazionali che avrebbero partecipato alla presunta ricapitalizzazione», si legge nei documenti.

Una boccata d’ossigeno con la sottoscrizione di azioni del valore di dieci milioni di euro che però, secondo i pm, sarebbe stata «del tutto inesistente». I contorni di questa complicata vicenda passano per una serie di fondi d’investimento, alcuni documenti e diversi uomini dal cognome britannico. Tutto sarebbe partito dalla holding Ifina, specializzata nella creazione di fondi d’investimento nei paradisi fiscali grazie a un servizio offshore che passa da Malta, Panama e le isole Cayman e Guernsey

Fondatore, nel 2000, e attuale direttore è l’inglese Sam Bratchie, che nell’inchiesta della procura non ha nessuna contestazione. Tra le tante società collegate a Ifina, come annotano i pm nei documenti, c’è la Apollo Ifina, con sede nell’isola dei Cavalieri. Da quest’ultima società sarebbe dovuta transitare la ricapitalizzazione, mai avvenuta, di banca Base. Parte dei soldi, 2,5 milioni di euro, li avrebbe però dovuti versare, come una sorta di acconto, Mohammad Kamal Ismail, indicato negli atti della procura nelle vesti di socio all’interno della holding. 

Il 9 febbraio 2018 – quattro giorni dopo la banca verrà commissariata – il presidente Bottino avrebbe mostrato una lettera, senza data, in cui proprio Kamal Ismail dava mandato alla banca nazionale di Abu Dhabi di effettuare l’acconto nelle casse di banca Base. Dietro quel foglio però la procura nutre non pochi dubbi. Un ex componente del cda, sentito dai pm, lo ha addirittura definito «un pezzaccio di carta», riportando le parole che avrebbe detto quando Bottino e Sannolo lo mostrarono durante la seduta del consiglio d’amministrazione. Inoltre, secondo la procura, il contenuto di quel documento risulta «identico» a una bozza di lettera che il giorno prima il responsabile dell’antiriciclaggio di banca Base aveva predisposto «su disposizione del direttore Sannolo». Il magistrato Fabio Regolo non ha usato giri di parole bollando tutto come «un falso piuttosto grossolano». 

Il giorno prima di quel vertice infuocato – era l’8 febbraio – Bottino avrebbe informato tutti che il documento era stato acquisito durante una riunione a cui avrebbe partecipato anche il 53enne Gary Anthony Sukhram. Secondo Companyhouse, ovvero il registro delle imprese del Regno Unito, dal gennaio 2018 è il direttore della Centurion Quant, società di consulenza finanziaria e creazione di fondi d’investimento. Praticamente una costola della holding Ifina.

Lo stesso documento, come annota la procura, sarebbe finito anche nella casella di posta elettronica di Alessandro Santi, 46enne agente assicurativo, originario di Spoleto. Uno dei broker che avrebbe dovuto, tramite la società bulgara Lev, produrre la fideiussione necessaria al Palermo Calcio per l’iscrizione, poi sfumata, al campionato di serie B. Da maggio scorso Santi è indagato dalla procura umbra per svariati reati fiscali. Il suo nome non emerge nell’elenco dei nomi nell’inchiesta di Catania. Sarebbe stato proprio Santi, secondo i pm etnei, però a condurre la trattativa tra il fondo d’investimento inglese e banca Base. Ma chi erano i reali investitori della presunta operazione? Una domanda praticamente senza risposta e con tanti punti interrogativi. In un promemoria, scritto dal duo Bottino-Sannolo, l’acconto da 2,5 milioni di euro viene affiancato al nome di un altro fondo d’investimento: l’AS London Equity. Quali collegamenti aveva con il fondo maltese Apollo Ifina? Secondo i pm nessuno, mentre Santi, come riportano i documenti, lo indicava addirittura come proprietario di AS London Equity.


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