Lavoro minorile: Catania città di schiavi invisibili? Cosa si nasconde dietro a un fenomeno irrisolto

Piccoli schiavi invisibili. Bambini, appena diventati adolescenti, con le mani già sporche di lavoro. Risucchiati da bancarelle e chioschi, officine e sale giochi. Negli ultimi mesi sono riemersi prepotentemente dal nulla grazie a cinque blitz della polizia, tutti concentrati nei quartieri popolari di Catania a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Il caso più eclatante? Due fratellini di 9 e 10 anni sorpresi, secondo gli agenti, mentre gestivano un bar fatiscente a Librino. La loro storia è da chiarire ma racconta un fenomeno sommerso in cui si intrecciano numeri mancanti, controlli impossibili, dispersione scolastica e rischi. Perché in molti casi l’alternativa, da adolescenti, è quella di diventare manovalanza della criminalità organizzata.   

Il problema dei minori lavoratori esiste. Ma in Sicilia il garante per l’Infanzia non ha nemmeno un ufficio. Per non parlare dell’assenza di una banca dati unica per coordinare gli ispettorati regionali del lavoro. All’interno degli uffici i dipendenti sono pochi e i controlli ridotti al minimo. L’effetto finale è «paragonabile alla punturina di una zanzara», spiega a MeridioNews Francesco Corsaro, responsabile territoriale dell’ispettorato di Catania. Alle sue dipendenze ha 14 persone, tutte over 50, chiamate a coprire il territorio della provincia di Catania. Nei prossimi mesi la truppa diminuirà ancora con un taglio di cinque persone destinate alla pensione. «Nei nostri uffici c’è chi si occupa delle denunce e chi delle pratiche per la videosorveglianza. Alla fine quelli che fanno i controlli sul lavoro sono tre o quattro». Quanti minori-lavoratori sono stati individuati nel 2019? «Nessuno, riuscirci è quasi impossibile», risponde con l’amaro in bocca.

In tutto il territorio italiano, secondo i dati dell’ultimo rapporto di vigilanza in materia di lavoro, i minori per cui è stata accertata l’occupazione irregolare sono stati appena 263 (nel 2017 erano stati 164), quasi tutti concentrati nel settore alloggi e ristorazione. «Accanto a noi – continua Corsaro – c’è un nucleo specializzato di carabinieri ma vengono impegnati dalla procura o su delega del comando provinciale». I bambini trovati a lavorare a Catania durante gli ultimi blitz delle forze dell’ordine spesso erano operai delle proprie famiglie, seguendo lo schema secondo cui il lavoro deve essere imparato da giovanissimi per garantirsi un futuro. L’istruzione? Non serve. E così bisogna fare i conti con l’altra faccia della medaglia: quella della dispersione scolastica

I dati, anche in questo caso, sono quasi impossibili da recuperare. Gli unici diffusi dall’ufficio scolastico regionale sono quelli per province. Catania si colloca seconda (113 evasori nell’anno scolastico 2017/2018) soltanto a Siracusa (127 evasori). Il record del capoluogo etneo però è tutto nel numero di chi la scuola la lascia per sempre: 55 abbandoni, primato nell’Isola. Stessa fotografia nella scuola di secondo grado, in cui la provincia etnea si colloca in alto con 118 evasori e 120 abbandoni. Il vero buco nero però è quello delle superiori, con quasi 700 abbandoni. La fetta più grossa si registra nei quartieri popolari. Gli stessi in cui i blitz hanno riacceso la luce sul fenomeno del lavoro minorile. 

Chi lavora come operatore sociale ogni giorno in questi pezzi di città, tra mille difficoltà dovute al Comune in pesante crisi economica, ha chiara l’evoluzione della situazione. «Tante famiglie percepiscono il reddito di cittadinanza. E io ho la sensazione che lo sfruttamento dei ragazzini sia pure diminuito perché le famiglie godono di maggiore benessere. Vediamo ogni giorno uomini e donne allineati davanti agli sportelli bancomat», racconta a MeridioNews Rosanna Di Guardo, presidente della fondazione Cirino La Rosa, l’Istituto educativo assistenziale con sede a San Giorgio, ma che opera anche a Librino, Nesima, Monte Po e Angeli custodi. «Il fatto che oggi ci siano ancora bambini che lavorano per apprendere il mestiere lascia l’amaro in bocca – continua Di Guardo – Il nostro è un lavoro particolare, cerchiamo di promuovere una cultura legata al senso civico nei confronti di uno Stato che da molti viene visto soltanto come un nemico».

Nelle maglie dello Stato parecchi infatti ci restano impigliati. Allargando soprattutto le file dei clan che gestiscono le piazze di spaccio. Non è difficile scovare baby rapinatori o giovani pusher. Nel 2017 un bambino di sei anni è stato individuato mentre faceva il corriere della droga su direttiva del patrigno. Storie che cadono nel dimenticatoio, come quella del 14enne colpito alla testa dai poliziotti durante un tentativo di rapina. Un fatto ormai risalente al 27 gennaio 2015, lo stesso giorni in cui morì un 18enne suo complice. I numeri dei reati in cui compaiono le effigi di minorenni danno a Catania un triste primato a livello nazionale di cui la città non riesce a liberarsi dal biennio 1987-1988. Allora gli ingressi di minorenni erano stati 413 di cui 204 nella sola Catania. I dati, come MeridioNews ha avuto modo di visionare, provengono da un vecchio rapporto del tribunale dei minori firmato dall’allora presidente Gianbattista Scidà

Da luglio 2018 a giugno 2019 il numero di ingressi di minori nelle strutture del distretto etneo è sceso a 77. Ma i numeri non sempre sono la fotografia della realtà. «Il dato non deve essere posto in relazione a un calo della delinquenza minorile – scrive nell’ultimo resoconto il presidente della corte d’Appello Giuseppe Meliadò – ma alla modifica in materia di stupefacenti e al fatto che l’impiego delle forze dell’ordine si è concentrato sulla lotta alla criminalità organizzata». In soldoni: i minori continuano a essere protagonisti di reati comuni ma ci sono poche risorse per contrastarli. Che futuro avrà Giovanni? Che a nove anni vendeva stelle di Natale in viale Librino. Dove andrà a finire Marco? Nonostante i suoi 11 anni già esperto meccanico. La speranza è che qualcuno si occupi di loro. 


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