Un anno di terrore: gli estortori volevano 58mila euro «Dove sei che ti taglio la testa?». Vittime denunciano

«Dove sei che ti taglio la testa?». Inizia con questa frase pronunciata al cellulare un intero anno di offese, minacce e richieste di estorsione. Da una parte della cornetta ci sono Giuseppe Calcagno e Salvatore Scafidi (entrambi arrestati, insieme a Carmelo Scafidi, la scorsa settimana per estorsione aggravata dal metodo mafioso dai carabinieri di Paternò), dall’altro lato c’è uno dei due fratelli imprenditori di Biancavilla presi di mira e che, dopo circa un anno, hanno trovato il coraggio di denunciare tutto alle forze dell’ordine. Possibilità già prospettata anche agli estorsori, tanto che Calcagno ribatte: «Visto che so che registri le telefonate, te ne vai dai carabinieri, li porti qua e li lego insieme a te nel paraurti della macchina e ci facciamo un giro per la strada», si legge negli atti dell’indagine.

Tutto comincia con questa telefonata a settembre del 2018. I tre, adesso rinchiusi nel carcere di Bicocca di Catania, pretendono dagli imprenditori 58mila euro. La cifra corrisponde a un debito maturato dalla cooperativa agricola dei due fratelli nei confronti di un’altra società di cui solo Carmelo Scafidi è socio consigliere, mentre gli altri due indagati non ricoprono nessun ruolo. In ogni caso, la cooperativa agricola delle vittime è oramai in liquidazione. Nonostante le minacce e le violenze, entrambi i fratelli si sono sempre rifiutati di sottostare alle richieste e, accompagnati dall’associazione antiracket Asaec, hanno scelto di denunciare i tre estorsori.

L’attività investigativa, anche con intercettazioni telefoniche e ambientali, ha permesso di ricostruire quanto accaduto. Aggressioni fisiche e minacce di morte per convincere gli imprenditori a pagare, anche tramite prodotti agricoli e macchinari. Un copione che si è ripetuto per circa un anno con cadenza quasi mensile, da settembre 2018 al settembre 2019. Diversi sono gli incontri ricostruiti dagli inquirenti. Nell’estate dello scorso anno è vicino alla villa comunale di Adrano che Salvatore Scafidi e Calcagno minacciano di morte l’imprenditore ricordandogli di estinguere quel debito che non hanno alcun diritto di vantare. 

Appena un mese dopo, i due vanno direttamente nei magazzini e passano alle maniere forti. Testate e colpi violenti con una cassetta di quelle che si utilizzano per la frutta. «Tu ma dare i soddi (Tu mi devi dare i soldi, ndr)», sono le uniche parole che pronuncia Salvatore Scafidi mentre dà due schiaffi al viso e una pedata nei genitali dell’imprenditore minacciandolo di ritornare entro una settimana per ammazzarlo. L’aggressione prosegue anche fuori dal magazzino al punto che Calcagno arriva anche a strappare la maglietta della vittima per cui la prognosi – nel referto dell’ospedale Maria Santissima Addolorata di Biancavilla – è di lesioni guaribili in sette giorni. Intanto, per accreditarsi Scafidi e Calcagno si vantano con un fornitore di prodotti (che è anche il testimone di nozze) dell’imprenditore di averlo picchiato, affermano di essere loro a comandare ad Adrano, di avere il dominio della zona e che, prima di agire, hanno chiesto il consenso al reggente mafioso di Biancavilla

Passano circa due settimane e poi i tre tornano all’attacco. Chiedono ancora una volta di saldare il debito anche tramite parte della produzione (dieci vagoni di arance che equivalgono a circa cento chili di frutta) e qualche macchinario dell’azienda. Di fronte alle resistenze degli imprenditori, minacciano addirittura di andare da soli a raccogliere gli agrumi. L’indomani Calcagno richiama la vittima da estorcere e lo minaccia ancora: «Io mi sento stanco, tu mi devi dare i soldi […] Penso che a qualcuno gli faccio male. Parlo chiaro nel telefono perché me ne sto fregando – aggiunge – Perché giustamente io non mi posso muovere, devo andare a lavorare e non posso andare a lavorare, a rubare non ci so andare ma a fare male alle persone lo so fare». 

Lo stesso giorno, è l’altro fratello imprenditore a contattare Carmelo Scafidi per riferirgli delle minacce subite e per chiedergli un incontro nella speranza di riuscire a rabbonirlo. In risposta ottiene l’insistenza della richiesta di pagamento e l’offerta della sua protezione. «Una metà (del raccolto di arance, ndr) tu me li devi dare, me lo devi fare per favore. Fai le cose giuste, così mangiano i tuoi figli e mangiano anche i miei figli. Perché io sono rimasto a piedi». Alle richieste minacciose e pressanti si alternano offerte di risolvere la questione in modo più conciliante. «Mi sto seccando ora e non mi voglio seccare -continua – Io ti voglio bene ma tu non mi stai volendo bene a me minchia, mi stai portando a un punto che mi devo comportare male. Mi sono messo a disposizione, mi metto a disposizione se hai un problema con qualcuno mi puoi venire a chiamare, ti insegno la mia abitazione. Vieni di notte, mi vieni a prendere e io ti dimostro che sei un amico mio. Io so che sei un bravo ragazzo, ma mi sto sentendo abbandonato». 


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