Palazzo Poste, il Movimento 5 stelle all’attacco «Ceduto gratis mentre il Comune è in dissesto»

Adesso che la demolizione è cominciata, c’è qualcuno che chiede trasparenza. Ricostruire l’iter vissuto dal Palazzo delle Poste di viale Africa è infatti complicato: non fosse altro che le cronache ne parlano dal 1999 e che la compravendita dell’immobile risale al 2001. Vent’anni di storia che coinvolgono il Comune di Catania, il ministero della Giustizia e, in ultima istanza, la Regione Siciliana. Mentre le ruspe lavorano per buttare giù un piano dopo l’altro dell’edificio (che secondo i  tecnici è gravemente compromesso), il tema approda in Consiglio comunale. In un’interrogazione a risposta scritta appena depositata a Palazzo degli elefanti, il consigliere del Movimento 5 stelle Graziano Bonaccorsi vuole chiarezza. Partendo da una domanda: «Può un’amministrazione in dissesto cedere a titolo gratuito un bene indisponibile al Demanio dello Stato, gravando sul bilancio patrimoniale dell’Ente?», si legge nel documento.

Per riaprire il fascicolo sul Palazzo delle Poste bisogna tornare indietro al momento dell’acquisto. Il Comune, all’inizio degli anni Duemila, lo compra dalla Europa gestioni immobiliari spa. Una società per azioni del gruppo Poste italiane. Sono 12.877 metri quadrati adibiti a uffici, di fronte al mare e a due passi dalle Ciminiere di piazzale Rocco Chinnici (ex piazzale Asia) e dalla Stazione centrale di piazza Giovanni XXIII: per prendersi tutto servono 54 miliardi di lire, ottenuti tramite un mutuo stipulato con la Cassa depositi e prestiti a totale carico dello Stato. I giornali ne parlano a partire dall’inizio del nuovo millennio: la società per azioni dei servizi postali deve razionalizzare, dismettere. In altri termini: liberarsi degli immobili in più. A gestire l’operazione è l’allora amministratore delegato Corrado Passera, che in futuro diventerà ministro dello Sviluppo economico nel governo di Mario Monti.

Nel 2001 la firma dell’accordo. Il Comune compra, con fondi dello Stato, e il ministero della Giustizia guadagna un edificio, per la gioia di avvocati e magistrati che già ai tempi chiedono a gran voce un nuovo luogo dove esercitare la propria professione. Il municipio, poi, conta di fare un poco di economia: secondo le cronache dell’epoca, si spendevano circa 495 milioni (sempre di Lire), all’anno, per affittare stanze da destinare agli uffici giudiziari in edifici privati. Il tempo, però, passa: il palazzone viene dismesso e il progetto si incastra tra gli scogli della burocrazia. Mentre gli anni si accumulano, l’immobile viene occupato e poi sgomberato. Nel 2013, a metterne in discussione la destinazione è una delibera della giunta regionale che mette in campo una nuova ipotesi: e se la Cittadella giudiziaria si facesse nell’ex ospedale Ascoli Tomaselli di via Passo Gravina?

Opzione che viene definitivamente cassata l’1 marzo 2016. In quella data, un gruppo di lavoro al ministero della Giustizia mette in soffitta l’idea di usare i locali del presidio sanitario sfitto e continua sulla strada dell’ex Palazzo delle Poste. L’accordo definitivo viene annunciato in pompa magna dall’ex sindaco Enzo Bianco e dall’allora assessore al Patrimonio Giuseppe Girlando. Di lì a poco, la Regione Siciliana interviene mettendo a disposizione 40 milioni di euro e proponendosi come stazione appaltante. Il percorso individuato è semplice: dal Comune al Demanio e poi dal Demanio al ministero. Quest’ultimo protagonista di un contenzioso contro il Comune per circa 35,5 milioni di euro non versati alle casse municipali, citato anche dalla Corte dei conti in una delle tante ordinanze minatorie che hanno preceduto la dichiarazione del dissesto economico-finanziario.

Ma, sottolinea il consigliere Bonaccorsi nell’interrogazione depositata oggi: «L’immobile non è stato inserito nel piano di alienazione, con cui la nostra amministrazione ha partecipato all’avviso del ministero dell’Economia e della finanza (2015) e dell’Agenzia del Demanio, per individuare gli immobili suscettibili di far parte di operazioni organiche e integrate di valorizzazione e dismissione (alienazione) – si legge nel documento – È stata redatta una scheda per l’immobile di viale Africa, ma la stessa non è mai stata ricompresa nelle delibere consiliari adottate dall’amministrazione». Né «nel piano triennale delle opere pubbliche regionale». Da qui la richiesta di informazioni di Cinque stelle in Consiglio comunale. Una domanda semplice, per comprendere l’iter seguito da un palazzo il cui abbattimento – e successiva ricostruzione dopo un concorso d’ideecambierà il volto del waterfront di Catania.


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