Lavorano a una mostra, ma non vengono pagati La storia dei pannelli della start-up Archicart

Che a Catania il lavoro non sia riconosciuto come dovrebbe non è una novità. Come non è una novità il fatto che spesso i giovani vengono sfruttati e le loro capacità ripagate con poche lire. Quello che sorprende è che, ogni tanto, qualcuno si ribella e fa sentire la propria voce, provando a far valere i propri diritti. È il caso di Dario Distefano, socio fondatore insieme a Nicola Timpanaro e Mario Schilirò della startup Archicart-Area srl, ideatrice di un modulo di arredamento, che denuncia il mancato pagamento del lavoro svolto dalla sua ditta per un’azienda che organizza mostre in Sicilia.

«Abbiamo realizzato per la mostra del fumetto allestita a Palazzo Valle e chiusa prematuramente a soli due mesi dall’apertura – racconta Dario a MeridioNews – dei pannelli in cartone ondulato che non solo non ci sono stati ancora pagati, ma che adesso fanno sorprendentemente da quinta espositiva per la mostra su Caravaggio al Castello Ursino».

Il trio catanese ha realizzato il primo prototipo di edificio con struttura portante in cartone ondulato. Oltre 200 metri quadrati di superficie espositiva costruita e consegnata in due settimane all’organizzazione privata, con tanto di preventivo e fatture emesse. «Abbiamo ricevuto un acconto e ci devono ancora la metà dell’importo concordato – spiega il giovane architetto, che aggiung – Il 25 per cento della somma che abbiamo investito sarebbe dovuta essere utilizzata come scambio merce per pubblicità e sponsorizzazioni, cosa che non è mai avvenuta». Per di più la mostra è stata chiusa prima del previsto: da fine marzo, mese in cui inizialmente doveva concludersi l’evento, l’esposizione è stata smontata a novembre perché non ha avuto successo e ci sono stati pochi visitatori.

«Abbiamo puntato molto su questa mostra e sulla comunicazione ad essa legata, che non è stata soddisfacente, anche producendo noi stessi volantini e flyer da distribuire al pubblico, che sono rimasti abbandonati insieme alle opere dopo la chiusura. A un certo punto gli organizzatori ci hanno comunicato che si stavano preoccupando di cercare di mettere a reddito i nostri materiali spostandoli in altri posti, senza darci altre informazioni». È stato un amico, infatti, ad avvertire i ragazzi all’inizio di gennaio che alla mostra di Caravaggio allestita al Castello Ursino c’erano proprio i loro cartoni.

«Ho pagato il biglietto della mostra, per vedere con i miei occhi i nostri pannelli, colorati di nero e ricollocati. Non so cosa sia successo, chi si è accordato con chi, ho solo visto i miei pannelli modificati e spostati in un altro posto. Data la situazione in cui loro si trovavano e capendo le difficoltà, abbiamo proposto un piano di rientro del nostro conto in sospeso, considerando persa la parte di sponsorizzazione e assumendoci la responsabilità di aver investito sulla mostra sbagliata, ma chiedendo di avere i costi di produzione in tre mesi. Ci hanno risposto positivamente prima di scomparire e non rispondere più alle telefonate e alle mail di sollecito».

Un silenzio che ha spinto i tre a mandare un comunicato stampa ai giornali locali per porre l’attenzione sull’accaduto. «Siamo una start up e non ha senso per noi mettere in mezzo avvocati e decreti ingiuntivi, non abbiamo i mezzi economici per farlo. Anche se ci dispiace che c’è il rischio che venga meno la nostra credibilità con i fornitori e che saremo costretti a chiedere un prestito alla banca per saldare i nostri debiti». «Non mi piace questo imbarazzo in cui mi trovo, da buon lavoratore che ha messo al servizio la sua professionalità facendo tutto nei tempi e in modo pulito».

Ma, nonostante tutto, i tre siciliani non faranno le valigie e non andranno via. «Siamo talmente affezionati alla nostra terra che il cambiamento lo vogliamo portare qua. Abbiamo preso una sberla che ci causerà dei problemi e delle situazioni da risolvere, ma se non interveniamo e ce ne andiamo tutti chi rimane?».


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