Iblis, cinque testimoni e il loro silenzio Beni e redditi da oggi al vaglio dei periti

«Ciao Affiù, ti vogghiu beni». Così l’ex consigliere della provincia di Catania Antonino Sangiorgi saluta in aula Alfio Stiro, condannato a otto anni per associazione mafiosa in primo grado durante il rito abbreviato del filone Iblis sui presunti rapporti tra mafiosi, politici e imprenditori. Un processo che i due hanno condiviso e in cui anche Sangiorgi è stato condannato a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa. I due uomini stamattina si sono ritrovati in aula a Bicocca, durante il processo ordinario di Iblis in qualità di testimoni. Entrambi, come altri, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Alle parti e alla corte non è rimasto che occuparsi dell’affidamento ai periti della valutazione dei beni e del patrimonio di diversi imputati.

Quattro i testimoni imputati in un procedimento connesso attesi sul banco dei testimoni oggi. Oltre ai già citati Stiro e Sangiorgi, anche l’ex consigliere del Comune di Ramacca Francesco Ilardi – condannato a otto anni – ha deciso di non rispondere alle domande dei pubblici ministeri Agata Santonocito Antonino Fanara. Ci ha provato anche un altro condannato del rito abbreviato di Iblis, Giuseppe Arena – due anni e otto mesi per associazione mafiosa – tra le facce interrogative dei magistrati. «Le spiego – interviene il pm Santonocito – né l’accusa né il suo avvocato, nel processo a suo carico, hanno impugnato la sentenza in Appello. La sua condizione può quindi considerarsi definitiva. Pertanto, non solo lei ha l’obbligo di rispondermi ma anche di dire la verità». Nessuno, però, lo aveva spiegato ad Arena. Il suo avvocato di fiducia non era nemmeno presente. Il testimone verrà quindi ascoltato nella prossima udienza.

Brevissima anche la comparsa al banco dei testimoni dell’avvocato Giuseppe Testai. «Lei ha mai amministrato una società?», chiede il pm Santonocito. L’audio in aula è basso, le parole del legale non si sentono bene, ma pare farfugli: «Una volta, nel 1996, come ho già spiegato ai Ros (Carabinieri del reparto speciale operativo ndr)». Una società che, secondo le indiscrezioni in aula, si sarebbe occupata di diversi appalti con Paesi esteri, tra cui la Libia, e sarebbe appartenuta a uno degli imputati nel processo, Carmelo Finocchiaro. L’avvocato Testai non dirà di più, almeno in aula. La corte potrà però valutare i suoi racconti nei verbali già resi ai magistrati.

Gran parte della breve udienza si svolge con il conferimento degli incarichi ai periti da parte della corte. A loro starà valutare, entro 60 giorni a partire da fine mese,  il valore dei beni di alcuni imputati al momento dell’acquisto e oggi, ma anche ricostruire il loro patrimonio e calcolarne la proporzione con il reddito e l’attività svolta. «Per quanto riguarda i beni – sottolinea il pm Fanara – sarebbe utile ricostruire anche la disponibilità di denaro degli imputati nei cinque o dieci anni precedenti all’acquisto. E’ a loro vantaggio: può darsi che uno abbia risparmiato per anni per permettersi qualcosa». Unico incarico non accettato, per incompatibilità, la valutazione di un terreno che si presume riconducibile a Oliva Pasquale, perché intestato alla figlia Clara. «Non posso accettare – dice un perito alla corte – Perché lavoro per due aziende di Carmelo Mogavero che pare siano riconducibili a Massimo Oliva (fratello di Pasquale ndr)». Tutti e tre imputati nello stesso procedimento, lo stesso perito era già stato nominato dal giudice per le indagini preliminari amministratore delle società in questione.

Ultima discussione tecnica riguarda infine i presunti prestanome di questi beni. «Mi chiedo, proprio a livello di legge, se queste persone debbano intervenire nel processo per difendersi», chiede il pm Fanara alla corte. Ma è una domanda retorica a cui risponde poco dopo lui stesso: «Si tratterebbe di 100, forse 150 persone». Troppe per un processo già lungo e con tanti protagonisti.


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