Giarre, una cappa di omertà sulla testa delle vittime Manca ancora il tavolo permanente contro il racket

«Per negare il consenso alle mafie serve cancellare quel velo di omertà che rende complici». Lo ribadisce a MeridioNews Nicola Grassi, il presidente dell’associazione antiracket Asaec dopo l’operazione Jungo (dal nome di un quartiere di Giarre) che ha smantellato il clan Brunetto – con 46 arresti – e fatto emergere, ancora una volta, un clima di paura nel quale le vittime sono rimaste in silenzio. «Attività estorsive e violente – si legge nelle pagine dell’ordinanza – che incidevano sull’atteggiamento collaborativo delle vittime tanto che nessuna, prima di essere convocata dai carabinieri, aveva mai denunciato estorsioni e comunque – aggiungono gli inquirenti – anche in tale sede, non rivelava nulla in merito a richieste ricevute o pagamenti estorsivi effettuati». 

Durante le indagini, infatti, è stato possibile ricostruire questi episodi solo tramite le 
intercettazioni ambientali. In un caso, il titolare di un pub vittima di racket parlava con altri soci e parenti, proprio mentre si trovava nella sala d’attesa della stazione dei carabinieri di Giarre. Commentando l’estorsione subita, forniva – seppure inconsapevolmente – notizie sulle modalità e sull’entità del pagamento. Stando alle affermazioni fatte in caserma, il pizzo sarebbe stato di 300 euro l’anno. Le informazioni sarebbero poi state negate davanti ai militari anche su suggerimento di un socio: «No, non dire niente, non c’è bisogno. Noi altri siamo tranquilli, così stiamo nella pace». Tacere probabilmente per evitare di subire eventuali ritorsioni.

«Il
clima di assoggettamento che emerge è intollerabile – commenta Grassi – Uno spaccato sociale grave e preoccupante. Perché nessuno dei commercianti taglieggiati o dei dipendenti comunali vessati ha denunciato o ammesso davanti ai carabinieri?». Fatti che risalgono agli anni 2017-2018 «ma è probabile che la situazione non sia mutata di molto», aggiunge il presidente di Asaec che a novembre dello scorso anno aveva organizzato una passeggiata antiracket per le strade della cittadina ionica. Tra i commercianti c’era anche Tonino Torrisi. L’imprenditore giarrese vittima di estorsione che, dopo il pestaggio subito nell’ottobre del 2018, aveva denunciato chi gli aveva chiesto 50mila euro come arretrati per non avere mai pagato il pizzo. Roberto Bonaccorsi, considerato vicino al clan Santapaola-Ercolano è stato condannato per estorsione aggravata dal metodo mafioso.

«Cosa non funziona nella grande macchina della
promozione della legalità sbandierata a parole da molti ma da pochi, e a fatica, praticata?», si chiede Grassi consapevole di una «incapacità delle forze sociali di incidere e sensibilizzare alla denuncia. Serve – ammette – una decisa inversione di rotta». Dalle basi da cui si parte, è tanto il lavoro ancora da fare. «Serve innanzitutto un riscatto della comunità – ribadisce il presidente di Asaec – Per questo abbiamo a fine 2019 abbiamo chiesto al sindaco di Giarre Angelo D’Anna di attivare un tavolo permanente attorno al quale riunire istituzioni, forze dell’ordine e associazioni per organizzare iniziative concrete di contrasto al racket, all’usura e alle varie forme attraverso le quali si manifesta la criminalità organizzata».

Una proposta che, finora, è rimasta tale. «Sono d’accordo alla realizzazione di questo tavolo permanente – afferma a MeridioNews il primo cittadino – Ma lo immagino in modo più allargato perché la legalità passa anche dall’inclusione sociale». Il quartiere Jungo è un satellite della cittadina, una sorta di zona dormitorio. «Un’area senza servizi e senza nemmeno un campo da gioco in cui sono state ammassate quasi cinquemila persone – afferma il sindaco D’Anna – Ed è lì, ai margini, che vivono i molti dei giovani coinvolti in questa inchiesta che finiscono nelle grinfie della criminalità perché non si sentono parte attiva della società e pensano di non avere alternative».


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