Etna, dal prefetto nuovi limiti dopo l’eruzione I problemi degli albergatori del versante Sud

Tornano a fare discutere i limiti imposti per la fruizione dell’Etna. Oltre ai divieti che da più di due anni vengono rinnovati ciclicamente, dal mese di marzo è vietato accedere al vulcano oltre quota 2600 metri sul versante sud e 2990 (in prossimità di Punta Lucia) su quello nord. Il nuovo prefetto, Antonella Scolamiero, ha infatti esteso quelli che erano i vecchi limiti dopo le ultime eruzioni che si sono susseguite nei giorni scorsi. Una decisione che sta creando non pochi problemi agli operatori turistici e non solo.

«Questo limite è fissato dal prefetto. Noi siamo semplici consulenti», puntualizza Mario Mattia, ricercatore dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Catania. Un sistema nel quale, su domanda dell’autorità, gli esperti rispondono fornendo i dati in loro possesso, senza dare ulteriori pareri e valutazioni di merito. Ma a destare perplessità è la differenza stabilita tra un versante e l’altro. Quello più pericoloso, poiché più esposto al materiale portato dai venti prevalenti, è quello settentrionale. Ma il vincolo qui è rimasto quello abituale di tremila metri, proprio alla base della voragine che si è da poco aperta. Ad essere esteso oltre quello vecchio di Torre del Filosofo è il confine del versante meridionale. Si riducono sensibilmente gli spazi a disposizione di turisti e appassionati in uno dei punti più frequentati anche dai catanesi, la zona del rifugio Sapienza e dell’hotel Corsaro, a quota 1986 metri.

«Questa nuova ordinanza non ce l’aspettavamo», afferma Alessandro Corsaro, uno dei proprietari della storica struttura. «Se per ogni bottarella si reagisce così…». Perché quella delle ultime settimane è per chi vive a stretto contatto con la muntagna la quotidianità. La decisione del prefetto, però, ha per loro delle conseguenze dirette molto pesanti: «Per il 15 marzo attendevamo un gruppo di scialpinisti che avrebbe voluto fare la traversata da nord a sud. Dovrò mandare loro l’ordinanza e disdire tutto». Quello sull’Etna è un indotto che genera un migliaio di posti di lavoro e la notizia giunge in uno dei periodi clou dell’anno, a ridosso delle vacanze pasquali, con la stagione sciistica avviata e un’attività intensa che richiama persone da tutto il mondo. «La gente viene per vedere il vulcano».

Il problema, sostiene l’albergatore, non si risolve bloccando l’accesso. «E’ pericoloso – riconosce senza alcun dubbio Corsaro – Ma in questi anni non è stato fatto nulla per formare guide che facciano fare escursioni in relativa sicurezza». Relativa, sottolinea, perché è impossibile garantire una situazione di assoluta assenza di rischi. Così come è impossibile prevedere i pericoli di un viaggio in automobile o un volo in parapendio.

Sul vulcano le comunicazioni ufficiali viaggiano più velocemente sulle ali del passaparola e delle bacheche di Facebook che sugli albi pretori dei comuni nei quali si estende il parco dell’Etna. E qui «la parola magica è “responsabilità”». «Basta dire “c’è sempre pericolo” e mi tolgo ogni pensiero», osserva Corsaro. «E’ facile – obietta – farlo da un ufficio in via Prefettura, senza pensare a cosa provoca un’ordinanza simile. Io sto facendo un sacrificio per il bene della collettività, ma il prefetto sa quali sono le conseguenze?».

Alle basi della decisione del prefetto c’è un sistema che prende origine da due incidenti molto gravi e dal cambiamento del tipo di attività del vulcano. Risale al 1979 la morte di nove turisti stranieri e numerosi feriti. Si trovano in cima al vulcano assieme a circa duemila visitatori e solo una decina di guide quando un’improvvisa esplosione di gas semina il terrore. Per quell’incidente si è aperto un lungo processo che ha coinvolto per responsabilità oggettiva anche l’allora sindaco di Nicolosi, Ascenzio Borzì. Tre anni dopo, nel 1981, un caso simile provoca la morte di altri tre turisti. Da quel momento viene istituita la misura precauzionale, ma – complice la natura effusiva dell’attività dell’Etna – i limiti non sono così rigidi. Dal 2001, quando iniziano i fenomeni esplosivi, e dal 2011 con l’apertura della bocca nuova si stringono i vincoli.

Quello che denuncia Corsaro è la scelta di vietare l’accesso tout-court. «Si potrebbe formare una nuova categoria lavorativa, delle guide specializzate, ridurre il numero di persone da far salire, obbligarle a fare un corso». Anche firmare delle liberatorie che sollevino dalle responsabilità – ecco che ritorna la parola d’ordine – le guide e permettano a chi è preparato e cosciente di salire su quello che è il vulcano attivo più alto d’Europa. Qualche misura che già esiste, come nel caso del paracadutismo e dei voli con deltaplano. D’altronde, spiega semplicemente, «se l’Etna non eruttasse, la gente non verrebbe».

Quello tra le autorità e gli operatori turistici dell’Etna non è un rapporto facile. L’ultimo incontro tra Alessandro Corsaro e il prefetto dell’epoca risale al 2001, quando la colata distrugge parte della funivia e taglia in due il piazzale antistante il rifugio Sapienza. Per i commercianti le cui attività sono rimaste danneggiate viene disposto dal governo la sospensione dei tributi. Ma le cartelle esattoriali vengono ugualmente emesse, tanto che sono pendenti ricorsi che si trascinano da anni. I risarcimenti tardano ad arrivare o sono insufficienti. E adesso si riduce ulteriormente e letteralmente il margine di manovra consentito. «Ho l’albergo funzionante ma vuoto – riassume Corsaro – E le tasse arrivano puntualmente. Come pago l’Imu e la Tarsu?».

[Foto di gnuckx]


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