Blitz Camaleonte, il clan Cappello e i fanatici della mafia «Donne strategiche». Tra gli arrestati pure Mario Strano

Fanatici di mafia, orgogliosi di fare parte dei clan e disposti a stare in trincea. L’ultima azione repressiva della procura di Catania ha colpito al cuore il clan Cappello-Bonaccorsi, organizzazione che da anni detta le regole nel panorama criminale del capoluogo etneo, riuscendo a mettere in secondo piano addirittura la famiglia mafiosa di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. L’operazione, denominata Camaleonte, ha visto il coordinamento del Servizio centrale operativo e della direzione centrale anticrimine. Secondo quanto appreso da MeridioNews sono 58 le persone iscritte nel registro degli indagati. A 44 è stata notificata la misura cautelare in carcere mentre due sono finite agli arresti domiciliari. Sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti e ricettazione. 

Nel mirino il gruppo che fa riferimento al capomafia 
Massimiliano Salvo, capeggiato, secondo la ricostruzione degli inquirenti, da Giovanni PantellaroSebastiano Nuccio BalboSalvatore Arcidiacono. Il riferimento dei Carattedi sarebbe stato Concetto Bonaccorsi mentre Mario Strano avrebbe diretto l’articolazione del clan Cappello nel rione di Monte Po. Proprio Strano è uno dei nomi più noti dell’operazione. «Un personaggio che cerca di cadere sempre in piedi», lo definisce in conferenza stampa il procuratore capo Carmelo Zuccaro. D’altronde Strano, conosciuto con l’appellativo di acchiana e scinni per i suoi trascorsi da rapinatore in trasferta, vanta il salto, insieme ai suoi tre fratelli, da Cosa nostra proprio al clan Capello. «Non è un fuoriuscito – continua il procuratore Zuccaro – ma una persona che ha cercato di creare un’alternativa ai Santapaola».

Insieme a Strano è finita in carcere la moglie
Anna Russo, la sorella di quest’ultima, Giuseppina, insieme al marito Salvatore Culletta, detto Turi de polli, e al figlio Giuseppe. Dietro le sbarre pure Concetta Strano, figlia di Mario, e il compagno Luigi Scuderi. «Il ruolo delle donne in questa operazione risulta assolutamente strategico», spiega la magistrata Tiziana Laudani, titolare dell’inchiesta insieme alla collega Antonella Barrera e al procuratore aggiunto Ignazio Fonzo. In carcere infatti è finita pure Rosaria Alessandra Rapisarda, moglie del capomafia al 41bis Massimiliano Salvo. La donna, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbe consentito al marito di continuare a controllare il gruppo mafioso. 

Il riferimento della donna erano i fratelli gemelli
Fabio e Luca Santorogià finiti nei guai nell’inchiesta Gorgoni. A loro la moglie del capomafia avrebbe rivolto le lamentele per i mancati versamenti dei soldi ai detenuti. Salvo con l’esterno riusciva a comunicare anche attraverso l’invio di pizzini. Il 28 maggio 2017 un foglietto veniva letto in strada dai gemelli Santoro e poi bruciato. Un altro biglietto, uscito dal carcere di Bicocca, è stato recapitato sei ai Santoro: «Mi ha detto dacci un bacio a Luca e Fabio», dicevano.

L’affare principale dei clan sarebbe stato quello del traffico di
droga, con un canale privilegiato con l’isola di Malta. Qui avrebbe operato Alfio Strano, ufficialmente addetto alle vendite di un supermercato. A ricostruire nomi e passaggi è stato il pentito Sebastiano Sardo, conosciuto come Iano occhiolino. Nell’elenco degli indagati compare pure il nome di Giovanni Crisafulli, u Tuccu; la sorella di quest’ultimo è la compagna di Sardo. «Portare via i soldi a questa gente è fondamentale», spiega Francesco Messina, catanese e direttore centrale Anticrimine della polizia, riferendosi al provvedimento di sequestro della società Sc Logistica srl, riconducibile a Mario Strano.
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