Tensioni tra Cappello e Cursoti la notte prima dell’agguato Dopo la rissa, lite in discoteca e spari a centro scommesse

La passione sfrenata per le automobili di lusso, alcune parentele con personaggi di spicco del clan Cappello e l’illusione di «avere cambiato vita» da qualche mese. Ruota attorno alla figura di Gaetano Nobile lo scontro a fuoco dell’8 agosto scorso in viale Grimaldi, nel quartiere Librino. Un regolamento di conti, tra le cosche dei Cappello e dei Cursoti milanesi, che ha lasciato sull’asfalto i corpi senza vita di Luciano D’Alessandro ed Enzo Scalia. Dopo giorni di indagini serrate i carabinieri, guidata dal comandante del reparto operativo Piercarmine Sica, hanno fanno scattare cinque fermi. Sabato scorso al termine dell’udienza di convalida la giudice per le indagini preliminare ne ha confermati due. Restano dietro le sbarre il boss dei Cursoti Carmelo Di Stefano e Martino Sanfilippo. Scarcerati invece Antonio Sanfilippo (fratello di Martino), Roberto Campisi e Santo Tricomi. La vicenda è tutt’altro che chiusa e i militari stanno lavorando per riuscire a identificare tutti i protagonisti di una storia che ha fatto ripiombare Catania negli anni più bui del suo passato. 

I fatti che hanno preceduto la sparatoria
Gaetano Nobile, 34 anni, 
è nipote dei fratelli Sebastiano Nuccio e Aurelio Balbo, storici esponenti del clan Cappello. Il primo nei mesi scorsi è finito coinvolto nel blitz antimafia Camaleonte mentre Aurelio è deceduto da qualche anno. Nobile in passato ha avuto parecchi guai con la giustizia ed è ritenuto «orbitante» nel sottobosco della criminalità organizzata. Particolare che nel 2017 fece scattare un maxi sequestro milionario del reparto anticrimine della polizia. Nel mirino finì anche il bar Diaz, nell’omonima via del capoluogo etneo. Ed è in questo pezzo di città, tra la circonvallazione e il viale Mario Rapisardi, che il 7 agosto succede qualcosa. Nobile è indagato, anche se al momento non è stato raggiunto da misure cautelari. Convocato davanti gli inquirenti ha raccontato la sua versione dei fatti. 

«Alcuni giorni fa – spiega a verbale – il figlio di Carmelo Di Stefano è passato a forte velocità davanti al bar Diaz e io commentai che non era modo di camminare per strada in quel modo». Dalla semplice costatazione si sarebbe passato a un faccia a faccia, avvenuto lo stesso pomeriggio all’interno di una palestra nel quartiere Nesima. Nobile e Di Stefano junior però non avrebbero chiarito i contorni della vicenda. Tanto che, intorno alle 19 del 7 agosto, nei pressi del bar Diaz si presentano Carmelo Di Stefano, ritenuto uno dei personaggi di spicco del clan dei Cursoti, e con lui una decina di persone «tra cui due fratelli». Pochi attimi e Nobile viene preso a colpi di casco al volto mentre due persone che lo accompagnavano – Luciano D’Alessandro (rimasto ucciso in viale Grimaldi) e Concetto Bertucci (ferito) – sarebbero stati schiaffeggiati. 

Tra Nobile e Di Stefano in precedenza ci sarebbe stato un altro attrito. «Circa tre mesi, fa Di Stefano ha detto a Bertucci di chiedermi se avessi intenzione di vendere la bottega dove ho aperto il mini-market, ma io, senza dargli una risposta diretta, dissi a Bertucci di riferirgli che non era mia intenzione», racconta Nobile ai magistrati. Un diniego che non avrebbe fatto piacere a Di Stefano. «Nel fare questo ero consapevole del fatto che avrei potuto avere problemi in quanto Di Stefano, in virtù della sua caratura criminale, non era soggetto in grado di accettare risposte di questo genere». C’è poi una terza ipotesi. Ad avanzarla è Martino Sanfilippo, l’uomo in carcere da sabato scorso dopo essersi autoaccusato di avere preso parte al conflitto a fuoco. Sanfilippo – appartenente ai Cursoti – racconta di avere accompagnato, insieme ad altre persone, Di Stefano in via Diaz, con quest’ultimo intenzionato a litigare per una donna «che interessava a Nobile e al figlio di Melo». 

La notte di tensione che precede l’agguato
Oltre ai dissidi personali a tenere banco sono i rancori e le rivalità che, tra Cappello e Cursoti, vanno avanti da anni. A dimostrarlo è un episodio accaduto la notte tra il 7 e l’8 agosto. Non necessariamente legato a quanto avvenuto al viale Grimaldi, ma che comunque contribuisce a inasprire ancora di più le tensioni tra i due gruppi: all’uscita di una discoteca il figlio di un noto boss del clan Cappello e il figlio di un esponente dei Cursoti litigano. Poche ore dopo, quando il sole è da poco sorto, dalle parti di piazza Palestro qualcuno spara colpi di pistola contro il centro scommesse riconducibile ai Cappello. A rivelarlo ai pm è sempre Nobile, che a sua volta lo avrebbe saputo dalla persona a cui era andato a chiedere aiuto.

Il far-west dell’8 agosto in viale Grimaldi
Dopo il pestaggio, conclusosi con la fuga dal mini-market verso il bar Diaz, Nobile avrebbe cercato in un primo tempo di chiarirsi con Di Stefano. Lo stesso pomeriggio un incontro viene fissato, per l’indomani mattina, tra gli esponenti delle due fazioni. La notizia della lite fuori dalla discoteca e la successiva azione dimostrativa al centro scommesse, però, fanno saltare tutto. E il gruppo di Nobile – a bordo di 13 scooter – decide di darsi appuntamento alle 18 per andare a cercare, quartiere per quartiere, Carmelo Di Stefano. La ronda però finisce senza esito, anzi sono proprio i Cappello a cadere in un’imboscata dei Cursoti a Librino. Qui, infatti, Di Stefano e i propri uomini attendono l’arrivo degli scooter a bordo di almeno tre auto per poi iniziare a sparare a ripetizione. Alcuni motocicli riescono a sfuggire, altri invece rovinano a terra.

«Io e D’Alessandro chiudevamo la fila – racconta Bertucci agli inquirenti -. Giunti all’altezza del viale Grimaldi abbiamo preso la salita che porta alle palazzine. Ho sentito subito gli spari, delle raffiche e si è creata una grande confusione. C’era chi cadeva dagli scooter e chi gridava. Poi ho visto arrivare una macchina, è venuta verso di noi e dall’abitacolo ho visto uscire un braccio che impugnava una pistola». Bertucci racconta che a sparare era il guidatore e che il proprio scooter si è visto sbarrare la strada dalla caduta di un altro mezzo. «Quando ci siamo fermati l’auto ci ha affiancato, arrestando la marcia – mette a verbale l’uomo – Una persona è scesa dal veicolo sparando dirigendosi verso me e D’Alessandro. Siamo rimasti colpiti entrambi e siamo caduti. Ero quasi abbracciato a lui, ho sentito come se russasse». Bertucci si salva per caso. «Il killer si è avvicinato a noi quando eravamo a terra e gli ho sentito sentito dire: “Sono morti tutti e due. Ce ne possiamo andare”». 

A pronunciare quelle parole, secondo la ricostruzione di Bertucci, sarebbe stato Martino Sanfilippo. I due fino a quel giorno non si conoscevano, ma si rivedono entrambi all’ospedale Garibaldi, dove sono arrivati in maniera autonoma. «Ho rivisto questa persona e l’ho riconosciuto come colui che aveva sparato a me e D’Alessandro», dice Bertucci. Che poi alla domanda su come Sanfilippo sarebbe stato ferito risponde: «Non saprei dire». 

Per i magistrati, invece, il motivo sarebbe chiaro: a essere armati fino ai denti sarebbero stati entrambi i gruppi. L’ipotesi che i Cappello fossero partiti disarmati alla ricerca dei Cursoti, così come affermato da Nobile e Bertucci, non è ritenuta credibile. A parlare di armi tra i rivali è anche Sanfilippo. «Ero a bordo di una Fiat Panda. Ho visto arrivare una cinquantina di persone su motociclette e scooter. Erano armate e appena mi hanno visto hanno cominciato a sparare – racconta ai pm -. Dietro di me vi erano su un’altra autovettura Melo Di Stefano e Roberto Campisi e ho visto che anche loro sparavano. Io ero armato con una pistola e ho esploso un colpo». Sanfilippo dice di essere scappato a piedi «inseguito da alcune persone che volevano uccidermi» ed è in questo frangente che sarebbe stato ferito alla gamba. «Ho solo sentito di essere stato colpito mentre scappavo, ma nonostante il dolore ho continuato a correre. Sono arrivato sotto al ponte dove ho trovato una persona che mi ha accompagnato in ospedale». Il 26enne afferma di avere sparato in alto, a differenza di quanto raccontato da Bertucci che ha identificato in lui il killer di D’Alessandro. Sanfilippo, che è l’unico con Di Stefano a essere rimasto in carcere, scagiona poi il fratello Antonino Marco, tra le persone fermate dalla procura, tirando in ballo un secondo fratello, che avrebbe partecipato all’aggressione davanti al mini-market di Nobile. 

Le valutazioni della gip
Oltre che per Antonino Marco Sanfilippo, la giudice per le indagini preliminari Marina Rizza ha ritenuto non ci fossero elementi per applicare la richiesta di misura cautelare nei confronti di Tricomi e Campisi, poiché la loro presenza sul luogo dell’agguato non può essere data per scontata basandosi soltanto sul fatto che abbiano partecipato al pestaggio di Nobile il 7 agosto. Tra il decreto di fermo del procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e del pm Alessandro Sorrentino e l’ordinanza firmata dalla gip Rizza c’è anche un’altra importante differenza: l’esecutore materiale del duplice omicidio non è più individuato in Sanfilippo, bensì in Di Stefano. Tuttavia, la sensazione è che ulteriori risvolti investigativi potrebbero emergere già a partire dei prossimi giorni.


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