Covid-19 a scuola, l’unica strada è imparare a conviverci Esperto: «Intera classe in quarantena non è sostenibile»

Un aumento costante che sfiora i cento casi al giorno e le notizie dei primi contagi anche dentro le scuole. Con il referendum alle spalle, oggi per molti aspetti si terrà il vero inizio dell’anno scolastico. Sono tanti, infatti, i dirigenti scolastici che hanno colto l’opportunità di rinviare la ripartenza delle lezioni a causa della necessità di allestire i seggi elettorali. Il clima un po’ ovunque è quello dell’attesa, e non mancano i casi in cui i sindaci prendono l’iniziativa di stoppare le attività scolastiche lì dove – è il caso per esempio di Misilmeri (in provincia di Palermo) – la situazione generale non sembra essere sotto controllo. Tra chi sta seguendo più da vicino l’evoluzione della diffusione del Covid-19 c’è senz’altro il primario di Malattie infettive dell’ospedale Cannizzaro di Catania Carmelo Iacobello. Che il 2 e 3 ottobre sarà tra i responsabili scientifici dell’XI convegno della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), dove si parlerà anche di Covid con gli interventi di Massimo Galli e Ranieri Guerra.

Dottore Iacobello, i bollettini del ministero della Salute descrivono una veloce risalita dei contagi proprio nei giorni in cui le scuole riapriranno dappertutto. C’è da preoccuparsi?
«Bisogna analizzare la situazione con lucidità e senza lasciarsi sopraffare dalla paura. Partiamo dal primo punto: è vero, i contagi stanno risalendo ma sono situazioni che ci aspettavamo. Quello che vediamo oggi è frutto dei comportamenti avuti nelle settimane intorno a ferragosto. Ma non è un atto d’accusa, siamo animali sociali».

Quindi tutto sotto controllo?
«La situazione che stiamo affrontando ci dice che i contagi crescono anche perché oggi si fanno più tamponi. Durante la prima ondata eravamo costretti, per mancanza di forniture, a effettuarli soltanto sui soggetti sintomatici oggi invece possiamo farli anche sugli asintomatici. E ricordiamo sempre che essere un soggetto positivo al Covid-19 non equivale a essere malato, se non si sviluppano i sintomi».

La crescita dei positivi differisce in qualche modo rispetto ai mesi primaverili?
«Possiamo dire che attualmente in percentuale il numero dei positivi rispetto al totale delle persone sottoposte al test è lo stesso della prima ondata. Cambia la situazione riguardante il ricorso alle cure ospedaliere, e questo dipende principalmente dal fatto che oggi le positività riguardano soprattutto i giovani, mentre come ormai è acclarato sono gli anziani a essere più a rischio».

Come è spiegabile il fatto che i contagi tra le persone della terza età siano in numero minore rispetto allo scoppio dell’epidemia?
«Perché da parte di questa categoria c’è maggiore responsabilità e consapevolezza dei rischi. Inoltre le misure di contenimento, dall’uso della mascherina al lavaggio delle mani, sono maggiormente acquisite. Tra i giovani, invece, c’è maggiore indisciplina».

E torniamo alla questione scuola: secondo lei cosa bisogna aspettarsi? Rischiamo di trovarci gli istituti chiusi uno dopo l’altro?
«Secondo me, andrebbe fatta una serie di riflessioni. La prima riguarda gli spazi. Forse era il caso, oltre che ragionare in termini di distanziamento interpersonale, anche su un numero massimo di unità componenti le scolaresche. Secondo me non bisognava andare oltre i 15 alunni per classe, ma è chiaro che si sarebbe dovuto trovare locali alternativi agli istituti scolastici».

Quindi, secondo lei, il rischio è di ritrovarsi con intere classi o addirittura scuole in quarantena?
«Anche a tal proposito mi viene da dire che se si vuole garantire la continuità delle attività scolastiche bisognerebbe ragionare sull’opportunità di mandare in quarantena tutti i compagni di un alunno positivo. Anche perché bisogna essere realisti: avremo alunni che scopriranno di essere positivi al Covid soltanto dopo essere arrivati a scuola».

Come bisognerebbe comportarsi in questi casi?
«Mi rendo conto che si tratterebbe di una scelta coraggiosa, che avrebbe bisogno anche della partecipazione dei familiari, però per me l’unica via sarebbe quella di mettere in quarantena soltanto il soggetto positivo. Mentre i compagni di classe dovrebbero continuare ad andare a lezione, e sottoporli dopo cinque giorni a un tampone rapido che garantisce una discreta accuratezza nel risultato. In ogni caso, sono convinto che con il rispetto delle prescrizioni in termini di mascherina e lavaggio delle mani i contagi potranno essere contenuti».

Ieri dalla politica regionale è arrivata la proposta di istituire la figura del medico di scuola per tenere sotto controllo l’epidemia. Che ne pensa?
«L’idea non è male, ma poi bisogna ricordarsi della cronica carenza d’organico nel settore medico. Allora credo che sia più facile pensare a un infermiere d’istituto; d’altra parte avrebbe soprattutto il compito di fare i tamponi e, per farli correttamente, non c’è l’esigenza di avere un medico».

Con l’arrivo dell’autunno che cambiamenti dobbiamo aspettarci?
«L’abbassamento delle temperature porta a spostare la socialità dai luoghi aperti a quelli chiusi e questo, senza dubbio, è una condizione che favorisce la trasmissione del virus. Poi bisognerà a fare i conti anche con l’influenza stagionale».

Anche quella inizierà a fare paura?
«Diciamo che sarà un elemento di confusione, perché sarà impossibile distinguere l’una infezione dall’altra basandosi soltanto sui sintomi. Per questo sarà importante sostenere una campagna di vaccinazione ampia».

A proposito, il vaccino per il Covid è così vicino come qualcuno dice?
«Sul tema del vaccino si sta creando una rivalità tra i Paesi che ricorda un po’ la corsa verso lo spazio. Realisticamente credo che entro la prima metà del 2021 sarà molto difficile averlo. Più facile per la fine del prossimo anno. Bisogna considerare la sperimentazione, la valutazione dell’efficacia e delle garanzie in tema di effetti collaterali e poi la produzione su ampia scala. Sono tutte attività che richiedono tempo».


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