Oggi quasi tutti i centri commerciali della provincia di Catania rimarranno chiusi, con un'unica eccezione: Conforama di Riposto. La festa dei lavoratori resta uno degli ultimi giorni rossi in cui i dipendenti possono rimanere a casa. Non è stato così il 25 aprile, per Pasquetta e perfino per Ferragosto. «Non c'è più il minimo rispetto per i diritti dei lavoratori», denuncia il circolo Città Futura. D'accordo anche molti titolari che però sono costretti ad aprire i negozi per evitare di pagare una penale di 300 euro. Ma sono pochi quelli che pagano lo straordinario. Guarda il video
Primo maggio, centri commerciali chiusi Ma è l’ultima festa ad essere rispettata
La gara del più stakanovista la vince il centro commerciale Conforama di Riposto. Tra i grandi ipermercati della provincia di Catania è l’unico che oggi rimarrà aperto dalle 9 alle 21. Con buona pace dei suoi dipendenti, qualche centinaio, che magari avrebbero preferito passare una giornata rilassandosi con la famiglia. Tutti gli altri, da Etnapolis al Centro Sicilia, passando per Katanè, Le Ginestre, I Portali e gli Auchan di Misterbianco e San Giuseppe La Rena, rispetteranno la giornata di chiusura in occasione della festa dei lavoratori, l’ultimo giorno rosso del calendario che sembra ancora godere di una certa sacralità. Lavorare l’1 maggio? «Non c’è più il minimo rispetto per i diritti dei lavoratori, i dipendenti saranno costretti a lavorare persino nella festa a loro dedicata», denunciano dal circolo Città Futura di Catania, che ha organizzato nei giorni scorsi un incontro davanti al centro Katanè proprio su questo tema.
Nell’ultimo anno i maggiori centri commerciali sono rimasti aperti per l’Epifania, il giorno di Pasquetta, il 25 aprile e persino a Ferragosto. Nel centro Katanè di Gravina non si trova un dipendente che affermi non tanto di essere contento, ma nemmeno di trovare utile a livello economico lavorare in queste occasioni. Anche perché in quasi il 50 per cento delle attività, la giornata festiva viene pagata allo stesso modo di quella feriale. «Noi almeno guadagniamo il 30 per cento in più, ma purtroppo non rappresentiamo la regola», spiega Filly Pagano, dipendente Glenfield. Anche tra i titolari degli esercizi commerciali si fa fatica a trovare entusiasmo per l’apertura nei giorni rossi. «Sono contrario economicamente, umanamente e culturalmente – confessa Carmelo Santoro, proprietario del negozio Sweet sweet candy – ma se non apro, il centro mi impone di pagare una penale di 300 euro al giorno».
Lo scorso agosto Santoro, insieme ad altri commercianti che hanno un’attività a Katanè, ha avviato una raccolta firme per opporsi all’apertura del centro nei festivi. Ma la partecipazione è stata bassa: hanno aderito soltanto 31 punti vendita su un totale di 72. «Il problema è che molti sono in franchising, quindi interessa poco il problema», precisa Santoro. La direzione del centro commerciale, con una lettera, ha comunque sottolineato che «la maggioranza non si calcola sulla base del numero dei negozi, ma sui millesimi di cui ciascun punto vendita è portatore». Non basta, cioè, che il 50 per cento dei negozianti si opponga, serve che abbiano anche la maggioranza della superficie del centro. Ecco perché ogni decisione è subordinata alla volontà dell’Ipercoop, il punto vendita di gran lunga più grande.
Ma c’è anche chi apre la propria attività di buon grado. «Siamo in un centro commerciale e le regole le conosciamo – spiega la titolare di Carpisa – a me conviene economicamente e le mie dipendenti ricevono lo straordinario. Però non tutti fanno altrettanto». «Ma anche se tutti venissero pagati di più – replica Alberto Rotondo, di Città Futura – noi vorremmo che ci fosse il tempo per dedicarsi anche alle altre attività senza essere schiavi del sistema». Rotondo sottolinea infine come l’idea che più giorni di lavoro equivalgano ad un incremento del Pil non sia vera, in quanto – conclude – «la gente non compra semplicemente perché il potere d’acquisto è crollato».