Cosa nostra, da New York la richiesta del porto di Catania I Gambino erano interessati a maxi-operazione di riciclaggio

«Io sono la Svizzera. Può venire chiunque e sono per la pace». Poco più di un anno fa, nello studio dell’avvocata e compagna Angela Porcello, il mafioso Giancarlo Buggea manifestò così la propria neutralità. «Il crocifisso l’ho appeso per tutti gli amici. La chiave di dentro di me, ce l’hanno tutti quelli che se lo meritano», aggiunse. Buggea, però, è tutt’altro che un agnellino e cosa significhi fare la guerra lo sa bene. Nato cinquant’anni fa a Palermo, è uomo d’onore del mandamento di Canicattì, che, in provincia di Agrigento, comprende anche le famiglie di Campobello di Licata, Licata e Ravanusa. «Era un componente del gruppo di fuoco di cui Falsone (Giuseppe, storico boss da tempo ergastolano, ndr) si serviva per commettere gli omicidi», ha detto di lui Maurizio Di Gati, un passato da rappresentante provinciale di Cosa nostra e oggi collaboratore di giustizia. Tuttavia nelle carte dell’inchiesta Xidy, che ieri lo ha riportato in cella cinque anni dopo la scarcerazione per associazione mafiosa, trovano spazio anche il lato diplomatico, entra il gioco il suo fiuto per gli affari e soprattutto la capacità di guardare lontano. In America, a quegli Stati Uniti dove Cosa nostra ha fatto, a suo modo, la storia e dove ancora oggi gestisce potere

Stando a quanto emerso dalle indagini del Ros, nella primavera del 2019 Buggea avrebbe portato avanti una trattativa con un soggetto americano, ma di origine siciliana. Un uomo legato alla famiglia Gambino. Da New York si sarebbe cercata una sponda per un fiume di soldi, una maxi-operazione di riciclaggio di somme raccolte illecitamente ma che, giunte in Sicilia, avrebbero potuto far perdere ogni traccia. «Arrivo là e trovo a uno, un picciotto, camicia aperta. Un altro fuori e altri due. Erano russi. Dico: “Chi sono queste persone?”. Dice: “Non parlano la lingua, uno parla l’inglese”», racconta Buggea a Simone Castello, 71enne ex postino di Bernardo Provenzano. Il primo incontro con l’americano è interlocutorio, bisogna prendersi le misure. Capire innanzitutto se entrambi si è mafiosi. Superate le diffidenze, i due iniziano ad andare al sodo. Le intercettazioni degli investigatori non consentono di ricostruire nel dettaglio i particolari dell’operazione proposta a Buggea, ma si capisce che le disponibilità sono importanti e i canali globalizzati

Si parla di Singapore, di Germania, ma anche di Catania e Palermo. E dei loro porti. «Mi ha detto se ci sono zone portuali si possono fare altri discorsi – rivela Buggea a Castello – A lui gli interessava Catania. “Palermo – dice – già c’è”». Come a voler dire che la rotta palermitana è già interessata da altri flussi. «Il venti per cento te lo lasciano», aggiunge Buggea, chiarendo che non si tratterebbe di un atto di mera generosità. Da parte degli americani ci sarebbe stata anche la richiesta di trovare il modo per riciclare denaro caricato su carte di credito con copertura illimitata. «Sono caricate con dieci-venti milioni. Ci sono trenta giorni di tempo per spardare (consumare, ndr) questi soldi», racconta Buggea rivolgendosi all’ex postino di Provenzano, aggiungendo di avere saputo che esisterebbe anche un grosso traffico, non meglio precisato, che interessa il Kosovo.

Dal canto suo, il 50enne uomo d’onore di Canicattì un’idea su come potere avviare le lavatrici di Cosa nostra l’avrebbe avuta. «Ci vorrebbe una ditta, grossa, fatturato», riflette. E pensa alla ditta di un suo ex operaio, che da anni lavora in Germania vendendo trattori. Un’altra possibilità da tenere in considerazione sarebbe stata quella di usare il settore del commercio di frutta e verdura. «Ti vendiamo un milione di uva ciascuno», ipotizza il 50enne. Convinto di avere trovato, se non proprio uno zio, quantomeno un buon amico d’America. «Loro hanno bisogno di noialtri, senza noialtri non possono fare niente», ribadisce a Castello. Indipendentemente dalla riuscita dell’operazione, per i magistrati della Dda di Palermo questi contatti sull’asse New York-Sicilia offrono di per sé «la cifra della perdurante ramificazione di Cosa nostra e della sua mai cessata pericolosità».


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