I quadri estorti da Orazio Buda all’artista Vittorio Ribaudo «Credevo che le mie opere fossero esposte nei ristoranti»

«È ricomparso una ventina di giorni fa, dopo tanti anni. È entrato nel mio laboratorio, si è guardato intorno e ha messo da parte tre o quattro quadri». Orazio Buda, il cugino del boss del clan Cappello Orazio Privitera, nella bottega dell’artista augustano Vittorio Ribaudo non si vedeva da anni. Finito in carcere ieri con l’operazione Sipario, tra le sue estorsioni vengono elencate anche quelle al maestro d’arte diventato famoso a livello mondiale con i dipinti sul legno della Divina Commedia. «Con Buda ci siamo conosciuti anni fa, durante una mia mostra a Catania – spiega Ribaudo – So che è un po’ malavitoso. Ma che cosa è successo?». Del blitz non ne sa nulla e di essere stato vittima non sembra pienamente consapevole ma ricostruisce l’ultimo recente episodio con un epilogo diverso da quelli esposti nelle carte dell’inchiesta. «Il giorno dopo è tornato ma sempre senza soldi e, questa volta, i quadri non glieli ho voluti dare – racconta a MeridioNews dopo essere stato messo al corrente dell’arresto di Buda – Visto che non poteva pagare, io gli ho detto che non gli potevo dare aiuto». 

Per gli inquirenti nel 2018 l’artista sarebbe stato costretto, sia con minacce esplicite che sfruttando la notorietà della sua caratura criminale, a consegnare a Buda almeno 20 opere dal valore artistico stimato pari a circa tremila euro ciascuna pagando però solo un totale di circa 1.400 euro. Che si trattasse di vere e proprie estorsioni l’artista non pare rendersi conto. «Era un discorso più blando – afferma – Quello che però voglio confermare è che non è vero che io gli dovevo dei soldi». E ne sono convinti anche i finanzieri che hanno indagato per cui emergono solo la forza prevaricatrice e le modalità intimidatorie. In una conversazione intercettata, invece, Buda aveva sostenuto fossero un modo per compensare un debito di cinquemila euro. A febbraio 2019, Ribaudo esclude ai finanzieri di avere contratto debiti con Buda. «Non ho mai ricevuto favori di nessun genere, né denaro in prestito, né elargizione di qualsiasi natura». Dichiara, però, di avere ceduto a Buda almeno 20 pitture su legno a prezzi irrisori «per soggezione e per timore che la mia persona, i miei familiari o la mia attività fossero oggetto di angherie, danni, ripercussioni». 

È il 22 settembre del 2018 quando Buda regala un quadro a una donna. «Ieri sono stato ad Augusta – dice – e ti ho portato un regalino. Spero che ti piaccia. Vittorio Ribaudo è uno molto importante, quotato in tutto il mondo». La donna apprezza e ringrazia e lui si vanta: «Io c’ho i gusti». Il dono è un dipinto che ha come soggetto il mare. «Così un giorno se tu parti e non ci vediamo, se sei a Milano, guardi qua e vedi Orazio». Passano due mesi e l’uomo torna a bussare alla porta del maestro d’arte: «Mi dai un quadro piccolo che lo devo regalare». Di fronte a un tentativo di resistenza, ribatte: «Ti devi stare zitto, io ti voglio bene ma altrimenti te lo devo rubare». Buda ha posato gli occhi su un dipinto con una barca. Poco prima di Natale ritorna nel laboratorio di Augusta e costringe Ribaudo a consegnargli delle opere in cambio di una somma irrisoria rispetto al valore effettivo. «Scegli quello che vuoi, però, ti prego – dice l’artista – almeno mi devi dare 200 euro perché questi quadri sono figli miei, sono il meglio della mia collezione». 

Uno dei dipinti (dal valore di 4.000 euro) Buda lo regala all’allora direttore dell’Istituto autonomo delle case popolari (Iacp) di Catania Calogero Punturo, anche lui indagato. Una sorta di corrispettivo per la disponibilità ricevuta nell’assegnazione di un immobile per uso commerciale alla nipote. Quando gli consegna l’opera, Buda si scusa per non averla potuta incartare e sottolinea il carattere pregiato del dono che, infatti, è accompagnato da un certificato di autenticità. «Mi chiedeva sempre di farglieli – conferma Ribaudo a MeridioNews – e io accettavo. Ora capisco che, evidentemente, servivano per vantarsi con le persone con cui li barattava. A me – aggiunge l’artista – ha sempre detto che li esponeva nei ristoranti». Una delusione scoprire però il disinteresse di Punturo che, quando si è trasferito a Messina, ha lasciato il quadro nell’ufficio di Catania


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