Mafia e petrolio, perché Romeo resta a piazza Lanza «Impressionante coinvolgimento in logiche criminali»

«Non è solo probabile, ma pressoché certo che, se non cautelato, possa proseguire l’attività criminale». È con queste parole che la gip di Catanzaro Valeria Isabella Valenzi ha motivato la necessità di mandare in carcere Orazio Romeo, l’imprenditore erede dell’impero di rifornimenti di benzina a marchio Sp. Romeo, in realtà, era già in carcere da una ventina di giorni per gli effetti di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal tribunale di Reggio Calabria. Sono infatti quattro le procure – oltre le due calabresi, ci sono quelle di Roma e Napoli – ad avere lavorato alla maxi-inchiesta Petrolmafie sugli interessi delle cosche ‘ndranghetiste, ma anche siciliane, sul commercio illecito di carburanti. Prodotti di scarsa qualità che sarebbero stati venduti truffando l’erario in materia di accise e imposte. La notizia del pronunciamento della gip Valenzi, sulla richiesta della Dda guidata da Nicola Gratteri che in prima battuta aveva disposto un fermo d’urgenza, è arrivata nei giorni scorsi. Lo stesso in cui si è svolto il Riesame per chiedere l’annullamento delle misure emesse da Reggio Calabria. Adesso, indipendentemente dalla pronuncia del giudice reggino, Romeo resterà comunque nella cella del carcere di piazza Lanza, dove l’imprenditore ha trascorso anche il giorno del 52esimo compleanno.

«Il braccialetto elettronico non spiegherebbe alcun effetto salvifico delle esigenze cautelari. La rete di contatti che annovera Romeo gli consentirebbe di agire anche dal domicilio», è la tesi della giudice per le indagini preliminari. Al centro dell’inchiesta ci sono i rapporti con la famiglia Mancuso, che da Limbadi (Vibo Valentia) irradia i propri affari criminali in tutta la provincia e oltre. Nell’ordinanza trova spazio il rapporto che Romeo avrebbe avuto con Silvana Mancuso, nipote del boss Luigi, che si sarebbe occupata della gestione del commercio di carburanti. Un business che si articolava tra presunte truffe allo Stato e riciclo di denaro sporco. «Io so trasformare il nero in soldi», sarebbe stata la promessa dell’imprenditore acese. 

Per gli inquirenti, i contatti stabili tra Romeo e i Mancuso si sarebbero manifestati anche nella gestione di un rifornimento a Filandari, piccolo centro del Vibonese. La stazione di servizio viene costruita nel 2010 dalla Petrol Service, società nata a inizio anni Duemila per vendere ricambi auto, su terreni di Rosaria Mancuso, figlia di Giovanni detto Billy, altro boss della cosca. Completati i lavori, a stipulare un contratto di comodato è una ditta individuale intestata all’allora marito di Rosaria Mancuso. Dopo appena sei mesi, a giugno 2012, il ramo d’azienda relativo alla gestione del rifornimento viene ceduto dalla Petrol Service, titolare della licenza, alla Sp di Romeo: l’accordo, del valore di oltre 900mila euro, prevede che circa 784mila vengano come compensazione volontaria di un credito che la Sp vantava nei confronti della Petrol Service. «Romeo – scrive la gip – diveniva titolare della licenza sborsando de facto la somma di 120mila euro».

L’attività va così avanti per circa cinque anni, con la conduzione del marito di Mancuso. Nel 2017, la ditta individuale lascia il passo a un’altra intestata a un giovane di nome Cesare Limardo. Oggi 27enne, è nipote di Rosaria Mancuso e per lui è stato emesso un obbligo di presentazione della polizia giudiziaria. Con Limardo – titolare della Lcn Petroli – Romeo firma un contratto d’affitto del ramo d’azienda per sette anni. Siamo ad aprile 2018: Limardo inizia a dirigere la stazione di servizio di Filandari, facendo sì che – sottolinea la giudice – «la gestione dell’impianto e dei terreni sia rimasta, per tutto il periodo, in capo alla famiglia Mancuso». 

Gli inquirenti ritengono che gli incassi del rifornimento siano serviti anche a finanziare la cosca Mancuso. A lamentarsi di come la famiglia facesse pesare le pretese è stato lo stesso Limardo, che sottolineava come tanto il nonno quanto altri chiedessero di aiutare i parenti. «Tutti quanti badano solo ai cazzi loro, camminano con quattro macchine a testa. Quell’altro che cambia macchina ogni giorno. La croce non è che gliela posso portare a tutti quanti», dice il 27enne alla madre. A fare un riferimento al coinvolgimento di Romeo nella stazione di servizio è la stessa Silvana Mancuso. «Ti ho fatto venire qua in calabria, ti ho aggiustato il fatto della colonnina: 450mila euro, con questo sei arrivato qui, per merito mio». Il richiamo è al costo dell’affitto della stazione che era stato stato stiuplato tra il nipote e l’imprenditore acese. Investimento che sarebbe stato fatto inevitabilmente con capitali illeciti, considerato che, dichiarazioni dei redditi alla mano, la famiglia di Mancuso vivrebbe in uno «stabile stato di indigenza»

«È impressionante il grado di coinvolgimento – scrive la giudice nell’ordinanza – nelle dinamiche criminali del contrabbando di petroli. Romeo annovera rapporti trasversali con la ‘ndrangheta, che lo vedono diretto investitore di ingenti somme di denaro, anche di provenienza illecita, per l’acquisto di carburante di pessima qualità. Prenesti (Antonio, uomo dei Mancuso attivo al Nord, ndr) ne sponsorizzava la ditta a Milano, a dimostrazione del suo grado di inserimento nel circuito mafioso. A ciò – conclude la giudice – si affiancano saldi ed estesi rapporti con la criminalità siciliana».


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