Farmacia, il processo alle fasi finali I periti delle difese contestano le accuse

Si avvia alle battute finali il procedimento per disastro ambientale e discarica non autorizzata all’interno dei locali dell’ex facoltà di Farmacia di Catania. Terminato anche l’esame dei testimoni della difesa, ieri è toccato ai loro consulenti tecnici. L’impegno delle parti e del collegio è chiudere questa fase più impegnativa entro la prima metà di settembre, quando sarà effettivo il trasferimento del pubblico ministero Lucio Setola, passato al ruolo giudicante e assegnato al tribunale di Potenza.

Ieri è stata la volta di Vincenzo Reina, avvocato coordinatore dell’area legale dell’Ateneo di Catania. Attraverso il suo ufficio passano gare di appalto, forniture e contrattualistica del personale. È lui a smistare le richieste da inoltrare poi al Consiglio d’amministrazione e quindi al rettore. Nel 2006 sulla sua scrivania giunge la richiesta per lavori urgenti da realizzare all’interno dell’edificio 2 della Cittadella universitaria. Una pratica definita «di somma urgenza», ma che subisce un continuo rimpallo di responsabilità tra gli uffici dell’amministrazione centrale; una situazione che richiede un intervento diretto del direttore amministrativo in carica in quel momento, Antonino Domina, uno degli imputati del processo, che – come racconta il teste – «si arrabbiò» per la situazione venutasi a creare. Reina ricorda bene il periodo: l’allora rettore Ferdinando Latteri è stato appena eletto alla Camera e si apre il dibattito sull’incompatibilità delle cariche di magnifico e onorevole. Poi le consultazioni che portano all’elezione di Antonino Recca, la nomina di un nuovo direttore amministrativo e tutto quello che comporta un cambiamento del genere. «Un’estate calda per il mio ufficio», la definisce il legale. Tra lungaggini burocratiche e insediamenti, quei lavori «di somma urgenza» slittano di quasi un anno.

Ma il vero protagonista dell’udienza è Federico Vagliasindi, ordinario dell’Ateneo di Catania di Ingegneria sanitaria ambientale e perito di parte per la difesa di Fulvio La Pergola, responsabile del servizio prevenzione e protezione dai rischi dell’Università dal 1999 al 2009. Il docente ha realizzato una relazione nel novembre 2011 nella quale contesta le accuse alla base del procedimento iniziato con il sequestro dell’edificio, nel novembre 2008. Uno dei punti centrali della questione, secondo il perito, è l’avvicendamento delle norme in materia. Il periodo preso in esame nel processo è quello che va dal 2004 al 2007 e nel 2006 entra in vigore il Testo unico ambientale che apporta delle modifiche alle modalità di accertamento del rischio. Un pericolo che, secondo Vagliasindi, non esisteva secondo nessuna delle due normative. Attraverso l’analisi effettuate nel 2004 da Bruno Catara del Nucleo chimico mediterraneo non vengono rilevate problematiche rilevanti. «Ritengo che sarebbe stato avventato pensare a un sito contaminato – sostiene il perito – Non c’erano elementi per pensare a matrici inquinate».

Catara consiglia alcuni interventi, come quelli alle fognature e all’impianto di areazione. Le problematiche si attenuano, ma non terminano, quindi viene convocata in maniera urgente la It group, ditta esperta nella bonifica di siti industriali. Se dopo i primi audit l’azienda non avvisa le autorità (l’Arpa o l’Azienda sanitaria locale), la situazione non doveva essere così grave, spiega il docente facendo sua una posizione già espressa anche da altri legali delle difese. Esclusi dal committente – l’Università – i carotaggi, vengono effettuate delle verifiche della matrice aria in un’intercapedine tra l’edificio e il terreno. Per Vagliasindi, quanto esaminato potrebbe essere stato il risultato della biodegradazione di sostanze organiche provenienti dal sistema fognario. Eppure, nei rilievi effettuati dai tecnici del giudice per le indagini preliminari Antonio Fallone, nel 2008, il punto con maggiore concentrazione di inquinanti è sotto una vecchia conduttura dove viene trovata una benda incrostata di mercurio. Difficile stabilire come sia finita lì e quanto tempo abbia impiegato la sostanza per formare quella che viene definita come una sorta di stalattite di un materiale inquinante e sospettato di essere cancerogeno. È stata gettata già impregnata? Ha raccolto su di sé parte di quanto veniva gettato nei lavandini? Impossibile saperlo.

La discussione tra il pm e il docente si accende più volte, tra le domande puntigliose del primo e le lunghe e tortuose risposte del secondo. I toni si alzano soprattutto quando si esaminano i carotaggi effettuati all’esterno dell’edificio 2. Sulla questione è costretto a chiedere chiarimenti anche uno dei giudici a latere, Giancarlo Cascino. Uno degli interrogativi verte sull’equivalenza tra i prelievi effettuati all’esterno e quelli all’interno. Secondo Vagliasindi, la risposta dipende dal tipo di inquinante e dalla sua diffusione (definito «pennacchio di contaminazione»). A maggior ragione, se la fonte dell’inquinamento risiede in un impianto fognario vetusto, la sorgente non è più un solo punto, quindi è più difficile definire un modello. La diffusione – che solitamente segue un percorso radiale – può essere modificata da qualsiasi agente, sia essa una falda sotterranea o l’innaffiatura del terreno.

Ma nonostante tutto non si può parlare di discarica, sulla questione il perito è categorico, arrivando a mettere in dubbio anche il capo d’imputazione e suscitando una reazione stizzita di Setola. Al termine della testimonianza, tuttavia, Vagliasindi è costretto a malincuore ad ammettere che le valutazioni da lui esaminate valgono alla data in cui vengono fatti i campionamenti. Ossia nel 2008, al tempo degli esami del gip, lontano dal periodo preso in esame dal processo.

La testimonianza del perito della difesa di Antonino Domina è di certo meno combattuta. Fausto Giuseppe Miano lavora come direttore qualità per lo stabilimento Novartis di Torre Annunziata, in Campania. Secondo l’esperto i malori segnalati per anni da docenti, dipendenti e studenti del dipartimento non sono rari. «È un’eventualità più comune di quanto si pensi», sostiene escludendo così malesseri alla presunta presenza di un sito inquinato.


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L'edificio 2 della Cittadella non sarebbe classificabile come discarica. Federico Vagliasindi, esperto convocato dalla difesa di uno degli imputati nel procedimento per disastro ambientale e gestione di discarica non autorizzata, è categorico. «Non c'erano elementi per pensare a matrici inquinate». Ma nemmeno il docente sa risolvere il mistero della stalattite di mercurio in una delle condutture

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