Grano, gli agricoltori fanno i conti con i costi generali «Aumento dei prezzi ha riguardato anche le sementi»

Anche la Sicilia, terra passata alla storia come il granaio d’Italia, oggi fa i conti con una ridotta produzione di grano, pur resistendo al calo generale. Con la sua produzione di grani antichi, favoriti dalla temperature, e una produzione biologica – che prevede l’abolizione di diserbanti chimici – abbastanza diffusa. In questo contesto, a tenere banco, è l’incremento del prezzo del grano e, di conseguenza, anche di quello del pane. Acquistare il grano costa oltre 40 centesimi al chilo. Un incremento che potrebbe apparire ad appannaggio dei singoli produttori ma la questione è più complessa. Tutto dipende da logiche globali di mercato mondiale che, inevitabilmente, finiscono per influenzare le realtà locali. Il calo di produzione di grano proveniente da Oltreoceano, in particolare dal Canada, e la maggiore salubrità del grano siciliano, hanno sicuramente permesso una valorizzazione del prodotto interno. Gli imprenditori siciliani sottolineano che l’aumento del prezzo, con i contesti odierni, permette alle loro aziende di sopravvivere. Ma sono stati davvero tanti i produttori siciliani che hanno realmente beneficiato dell’incremento generale del grano

«Credo siano stati in pochi – afferma a MeridioNews Giuseppe Li Rosi, agricoltore di Raddusa (in provincia di Catania) che produce ed esporta semi di grani antichi – L’aumento del prezzo di oltre 40 centesimi è stato registrato nell’ultimo mese, quando i piccoli imprenditori hanno già venduto per la maggior parte del grano ai grandi commercianti per sopravvivere. Con questa ondata, molti sono spinti ad acquistare e rischiano di indebitarsi». Alle oscillazioni di prezzo, che rischiano di far rimanere schiacciati i piccoli produttori, Li Rosi aggiunge anche il problema dell’aumento dei costi delle sementi. «Il prezzo dei semi fa riferimento a quello del granella di macina – spiega – Se il frumento è a circa 50 centesimi al chilo, l’equivalente dei semi sarà a 80 centesimi. Per non parlare del prezzo dei concimi: un quintale si aggira intorno a 100 euro. Stessa cosa per i diserbanti. Tutto è quasi raddoppiato perché – motiva Li Rosi – va di pari passi con l’aumento delle materie prime decise dal mercato. In tutto questo, quanto può sopravvivere una piccola azienda agricola? È un punto interrogativo abbastanza rischioso per i piccoli imprenditori».

Li Rosi, da produttore di grani antichi trattati biologicamente, che non hanno bisogno di particolari diserbanti e trattamenti chimici, parla del suo settore dove il prezzo, «a differenza del grano moderno, oscilla da anni dai 70 ai 90 centesimi ed è meno esposto alla concorrenza dei paesi esteri». Quello del prezzo dei fertilizzanti è un altro problema che viene posto da Domenico Pirrera, imprenditore di San Cataldo, in provincia di Caltanissetta. «Il grano aumenta perché, man mano, bisogna tenere conto dei costi della pulitura e delle certificazioni. Oltretutto dobbiamo anche sottostare alle variazioni continue dei prezzi e alle situazioni che sono presenti negli altri Paesi produttori. Ma è inevitabile tenere conto dei diserbanti. Nel mondo c’è un’eccessiva richiesta di questi prodotti, che contengono fosforo – afferma Pirrera – Elemento il cui costo si è alzato e non si sa quando si fermerà: prima si parlava di 43 euro a quintale, ora siamo sugli ottanta. Dall’altro lato, al momento, c’è troppa domanda di grano e poca offerta».

L’aumento dei prezzi di alcuni diserbanti, secondo alcuni agricoltori, può essere legato anche al costo vertiginoso del petrolio. I prezzi alti dei semi di grano hanno spinto imprenditrici come Silvia Turco, che ha la sua attività a Enna, a decidere di non comprarli. «Sono costi altissimi che noi, al momento, non possiamo permetterci di pagare – osserva – Da un lato, può essere positivo per chi ha ancora grano nei depositi o nei magazzini, ma non per le realtà come la nostra». Turco porta avanti la sua attività all’insegna della produzione biologica, senza alcun utilizzo di prodotti chimici. «Non metteremo i terreni a grano, faremo un po’ di reimpiego – conclude Turco – Destineremo il grano che ci rimane per le galline, ma non per uso zootecnico».


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