Processo Mario Ciancio, in aula sentiti Fava e Dalla Chiesa I necrologi e il caso delle dichiarazioni di Avola e Grasso

Il caso dei necrologi del giornalista Pippo Fava e del commissario di polizia Beppe Montana, ma anche la gestione giornalistica delle notizie riguardanti il pentimento di Maurizio Avola e di quello, solo annunciato, di Luciano Grasso. Sono alcuni dei passaggi salienti dell’ultima udienza del processo a Mario Ciancio Sanfilippo, editore monopolista ed ex direttore del quotidiano La Sicilia, alla sbarra con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. A giudizio non c’è solo l’imprenditore 89enne ma anche la linea editoriale del giornale di via Oderico da Pordenone. L’appuntamento al palazzo di giustizia, davanti il giudice Roberto Passalacqua, si apre con la presenza di Raffaele Lombardo. L’ex presidente della Regione, nelle vesti di testimone, ha però scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere alle domande, poiché imputato di reato connesso. Lombardo il 7 gennaio scorso è stato assolto nel processo d’appello bis in cui era accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio aggravato. «Le motivazioni non sono state ancora depositate – spiega in aula il pubblico ministero Antonino Fanara – Quindi il caso è ancora pendente ed è possibile una nuova impugnazione». 

A rispondere alle domande sono stati invece Claudio Fava e Nando Della Chiesa. La memoria, con i quesiti dell’avvocato Goffredo D’Antona – che assiste la famiglia Montana – torna al 2 giugno 1994, giorno in cui La Sicilia, a pagina 13, svelava di «nuove e clamorose rivelazioni» di uno degli storici killer della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano: Maurizio Avola. Dichiarazioni non solo sul delitto del giornalista Pippo Fava, avvenuto il 5 gennaio 1984, ma anche su quello del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso a Carini nel 1982. Ossia quando Avola aveva appena compiuto 21 anni e non era ancora affiliato alla mafia. Nel testo sul giornale, firmato da Salvatore Pernice, il giornalista si chiedeva com’era possibile che un «picciotto potesse essere stato incaricato della strage». «Ci fu una reazione piuttosto dura da parte della procura di Catania dopo la pubblicazione dell’articolo», racconta Fava. Il riferimento è a una conferenza stampa che venne convocata dai procuratori Amedeo Bertone e Mario Busacca. I magistrati parlarono di «un quadro confuso e falso in cui emergeva una strategia volta a gettare ombre». A occuparsi di Avola quel giorno però non fu soltanto il quotidiano di Ciancio ma anche Il Giorno, in un approfondimento identico firmato da Tony Zermo, editorialista e storica firma del giornale di via Odorico da Pordenone. «Su questo aspetto ci fu un procedimento per rivelazione di segreto istruttorio – continua Fava – Certamente venne sentito Zermo nel processo sulla morte di mio padre ma non ricordo se si assunse la paternità di entrambi gli articoli».

La vicenda Avola rimanda al caso del detenuto Luciano Grasso. Nel 1985, quando si trovava in prigione a Belluno, fece sapere ai magistrati di volere parlare di alcuni omicidi, tra cui quello di Pippo Fava. La sua rimase però solo un’intenzione. «L’indomani Grasso, quando il magistrato si recò in carcere per sentirlo, si fece trovare con una pagina del quotidiano La Sicilia in cui si annunciava, con nome, cognome e residenza, della sua volontà di raccontare qualcosa», spiega Fava. Il parlamentare regionale e presidente della commissione antimafia all’Ars ha ripercorso anche la storia del necrologio che la famiglia Fava intendeva pubblicare nel 1986. «Accadde un fatto spiacevole – spiega – Mia sorella andrò alla concessionaria pubblicitaria de La Sicilia per presentare il necrologio. L’impiegato le rispose che, per com’era formulato, poteva accettarlo ma solo con riserva. C’era scritto che ricordavamo la morte di “Pippo Fava per mano mafiosa”. Così decidemmo di scrivere un comunicato stampa che poi venne pubblicato dalle agenzie di stampa – continua Fava – Subito mi chiamò il direttore dell’agenzia pubblicitaria dicendomi che c’era stato un malinteso ma non mi seppe spiegare la ragione per cui venne accettato con riserva. La direzione de La Sicilia rispose dicendo che il nostro comunicato era intimidatorio e la stessa risposta venne ripresa dal comitato di redazione e di fabbrica». 

Durante l’udienza l’avvocato Carmelo Peluso, che difende Ciancio, ha annunciato di avere depositato a fascicolo le pagine de La Sicilia in cui vennero pubblicati ampia stralci del libro di Pippo Fava Processo alla Sicilia. «Ricorda se il giornale di Ciancio riportò la notizia della partecipazione di suo padre all’intervista da Enzo Biagi? (l’ultima del giornalista prima di essere ucciso, ndr)», chiede il legale al testimone facendo riferimento alla partecipazione alla trasmissione Film Story – Mafia e Camorra . «Quella intervista era andata in onda otto giorni prima – risponde Fava – ed è naturale che la memoria corse a quelle parole. Frasi dure e frontali nei confronti di Cosa nostra e del perimetro dei suoi rapporti». Altro riferimento dell’avvocato difensore è quello a un articolo, firmato da Giuseppe Testa e dal titolo “I veri mafiosi non sono quelli che ammazzano”, pubblicato a pagina 7 nel gennaio 1984, dopo il delitto Fava. «Avevate qualche rapporto con questo giornalista?», domanda Peluso. «No – risponde Fava -, La registrazione di quella intervista con Biagi era disponibile per tutti e fu normale pensare a quella come elemento scatenante». 

Ultimo testimone dell’udienza Nando Dalla Chiesa, professore universitario di Sociologia della Criminalità organizzata e figlio di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Con lui sono state ripercorse alcune vicende legate alla mancata pubblicazione del necrologio sulla morte del commissario Beppe Montana. La prossima udienza, fissata per il 28 aprile, vedrà la presenza tra i testimoni del pentito Giuseppe Raffa e del giornalista Sigfrido Ranucci. Poi toccherà a sei testi della difesa, dai quali è stato depennato l’ex sindaco di Catania Enzo Bianco. Ultimo atto prima dell’inizio della discussione della pubblica accusa. 


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