Aligrup, oggi apre Ipercoop a Le Zagare Ma il bilancio dei lavoratori resta negativo

Un finto lieto fine. È così che la maggior parte degli ex dipendenti Aligrup definisce la nuova apertura di questa mattina del supermercato all’interno del centro commerciale Le Zagare, acquisito dal colosso Coop. Chiuso da un anno, come gran parte dei 42 punti vendita della storica azienda di Sebastiano Scuto, a seguito delle indagini giudiziarie per mafia a carico del suo vertice – condannato a 12 anni in appello – e che hanno portato la società prima all’amministrazione controllata di una sua parte e, infine, alla liquidazione totale. Per qualcuno l’acquisizione di sei punti vendita da parte di Coop è un successo. «Oggi è una grande giornata, vedo entusiasmo e tanta voglia di tornare a lavorare», spiega Giuseppe Pistorio, uno di quelli che ha ripreso il posto lasciato a Le Zagare, adesso Ipercoop. Ma sono tanti i lavoratori che si sentono presi in giro. «Da tre anni sento dire che Coop avrebbe risolto tutti i problemi e non mi pare – commenta rassegnata una lavoratrice in cassa integrazione – Io ormai non credo più a nessuno, sono stanca». E i malumori non vengono solo dai 500 ex dipendenti catanesi rimasti fuori dagli accordi. «Ci siamo anche noi, figli di un dio minore, riassorbiti da altri gruppi ma con contratti a scadenza già per lo più non rinnovati», aggiunge Patrizia Muccio, 43 anni, lavoratrice all’ipermercato del Centro Sicilia.

La riapertura de Le Zagare a marchio Ipercoop apre la pista alla prossima inaugurazione, entro fine novembre, dell’ipermercato Le Ginestre e dei supermercati di San Giovanni La Punta, Zafferana Etnea, Modica e Bronte. Per un totale di 356 dipendenti ricollocati. A cui vanno aggiunti i 68 posti di lavoro recuperati nel settore della logistica con l’azienda Global service, che però non corrispondono ad altrettanti lavoratori: «In 18 non hanno accettato e in dieci non hanno passato le visite di idoneità fatte dall’azienda – spiega Salvo Leonardi della Filcams Cgil – Il posto viene comunque conservato loro in attesa di un eventuale ricorso. In generale il contratto prevede meno ore di lavoro, ma per tutti». Giuseppe Pistorio è entusiasta della nuova collocazione. «Per mesi non sapevamo che fine avremmo fatto – racconta – Ora siamo in un’azienda nazionale, seria, una realtà bellissima. Non c’è stata nessuna variazione di orario e di mansione. Mi dispiace però per chi è rimasto momentaneamente escluso, eravamo una grande famiglia, ne hanno fatto uno spezzatino».

Fin qui infatti i numeri positivi. Dall’altro lato però ci sono ancora 500 lavoratori del Catanese non ricollocati. «Sarò sincero, 200 di loro, tra amministrativi e jolly (circa 60 persone chiamate per le sostituzioni, ndr) non hanno alcuna possibilità perché, secondo la legge, non rientrano nelle cessioni di ramo d’azienda – continua il sindacalista – È vero, a Coop abbiamo concesso qualcosa in più, ma perché così nei prossimi cinque anni, in caso di assunzioni, dovranno attingere al bacino ex Aligrup, sperando di fare rientrare proprio questi lavoratori». Al momento sono anche in corso nuove trattative per altri punti vendita che, in caso di esito positivo, ricollocherebbero altri circa 40 dipendenti al momento in cassa integrazione. «Io appartengo ai figli di nessuno che non sono stati voluti da nessun gruppo. Sinceramente, mi sono stancata anche di parlare. Al momento sto pensando a organizzare il mio matrimonio, finché mi danno la cassa integrazione – racconta Licia, nome di fantasia, giovane ex lavoratrice Aligrup – Nello scorso settembre, quando abbiamo chiuso, mi fu detto “Non ti preoccupare, il vostro è un bel punto in una posizione strategica”, ma in un anno non è successo nulla. Io a questi nuovi possibili accordi non ci credo nemmeno più».

E non è la sola. Perché, tra i lavoratori dell’azienda Scuto, c’è un altro numero che spesso non compare nella conta di questi mesi tra ricollocati e inattivi. Si tratta dei dipendenti riassorbiti da altri gruppi ma con condizioni di lavoro non paragonabili a quelli di Coop. «Noi del Centro Sicilia rilevati dal gruppo Cambria (con il marchio Spaccio Alimentare, ndr) siamo stati presi in giro – racconta Patrizia Muccio – Ci hanno fatto stare buoni con dei contratti a tre mesi ma, subito dopo, alla maggior parte di noi non lo hanno già rinnovato». Il contratto di Muccio scade il 19 novembre e ancora non sa se continuerà a lavorare. Un compromesso comunque accettato di buon grado, in periodo di crisi, nonostante le condizioni. «Tutti noi siamo ripartiti da zero, dal sesto livello – continua la lavoratrice – Io ero cassiera e adesso faccio la repartista. Comprese le pulizie ai tavoli della gastronomia». Eppure al sindacato non resta che allargare le braccia: «Al contrario de Le Zagare, dove c’è una cessione di ramo d’azienda con l’obbligo di reintegrare i lavoratori, al Centro Sicilia lo Spaccio Alimentare poteva assumere chiunque. Sulla sede pendeva anche uno sfratto esecutivo, la loro è stata una cortesia per dare una mano a questa vertenza. Ma noi non avevamo nessun potere contrattuale da far valere».

Eppure a non andare giù ad alcuni lavoratori – oltre al senso di impotenza per essere capitati nella sede sbagliata, pur provenendo dalla stessa azienda – sono le stranezze che si sarebbero consumate durante le trattative. «Abbiamo assistito a spostamenti di sede di alcuni ragazzi da Le Zagare al Centro Sicilia per fare posto a non si sa chi – racconta la dipendente – Gente spostata dagli uffici ai reparti, assunzioni a settembre in alcuni centri commerciali nonostante la cassa integrazione da marzo. Tutti eventi denunciati e segnalati alle autorità, ma nessuno ha mai condotto un’ispezione». «Dobbiamo ammettere che circa un anno fa non c’è stata tanta trasparenza in alcuni punti vendita – dice sospirando Leonardi – Ma da quando sono stati presentati gli elenchi dei lavoratori in tribunale non era possibile fare nulla». Eppure, secondo i lavoratori, potevano essere trovate soluzioni diverse. «Prevedere più part time e meno full time oppure seguire una graduatoria di lavoratori da ricollocare in base al reddito e alla situazione familiare anziché attingere al solo personale dello stesso punto vendita – commenta Muccio – E il nostro collega di 60 anni a cui non è stato rinnovato il contatto ed è tornato a casa a fare il bambino, chi lo riassumerà?». «Una graduatoria impossibile per legge, in quanto non esiste una procedura di mobilità – conclude Leonardi – Il malumore dei lavoratori per noi merita sempre rispetto ma, davanti alla legge, anche noi abbiamo le mani legate».


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