Emma Dante: Mishelle di Sant’Oliva

Titolo: Mishelle di Sant’Oliva

Autore/Regia/Scene/Costumi: Emma Dante

Luci: Irene Maccagnani

Interpreti: Giorgio Li Bassi e Francesco Guida

Produzione: Sud Costa Occidentale

È ancora una volta la Sicilia, o meglio la città di Palermo, a proporsi vera e autentica protagonista, oltre che scenario, dell’opera di Emma Dante, con i suoi sentimenti forti e contrastanti, con i suoi odi e amori atavici e convulsi, attraverso i colori forti del giallo(espressione delle violenti gelosie) e del rosso (da sempre associato alle passioni più forti), le oscurità e gli odori acri delle sue case, delle sue paure ancestrali.

Salvatore e Gaetano Lucchese vivono da soli, incapaci di qualsiasi atto d’amore, di un contatto reciproco che non sia dettato dalla piatta quotidianità, uniti da una convivenza mal sopportata e stigmatizzata da un esercizio casalingo che esprime, nella ripetizione dei gesti, una condizione stagnante delle loro vite. Trascorrono le giornate in una casa scura e vuota da quando la loro madre e moglie, un’avvenente donna presentata dal ricordo innamorato di Gaetano come la prima ballerina dell’Olympia di Parigi, li ha abbandonati lasciando ad essi solo il ricordo degli anni vissuti insieme. Questa figura femminile, costantemente evocata seppur completamente dalla scena, risulta il fulcro attorno a cui si sviluppano le angosce e le ossessioni di un marito che non accetta, o meglio, non realizza consciamente la fuga della moglie, vivendo, quale novello personaggio bechettiano, in perenne attesa del suo ritorno e rivelando in tal modo la sua essenza infantile negli atteggiamenti e nelle parole. I ruoli si capovolgono, il padre necessita come un bambino delle cure e delle attenzioni di un figlio che, dal canto suo, ha interiorizzato la fuga della madre attraverso la nèmesi, cioè la sua personificazione, espiando le colpe di lei con la prostituzione del proprio corpo nella piazza di Sant’Oliva.

L’opera presenta solo in principio la staticità dei due unici protagonisti della scena, padre e figlio, seduti in una sedia, senza alcuna possibilità reale di potersi guardare davvero nel volto e nell’anima. Nella parte centrale dello spettacolo Salvatore forza lo sguardo del padre, visivo ma soprattutto morale verso un figlio che dalla madre ha ereditato il “nome” Mishelle (secondo la corretta pronuncia in dialetto), e la “professione” nella famosa piazza delle “buttane”. Una lotta continua tra padre e figlio: l’incapacità di accettare la realtà, cioè l’abbandono della moglie e l’omosessualità del figlio oltre che l’incapacità persino di farla finita con un cappio al collo da parte di Gaetano e l’incapacità ad accettarsi da parte di suo figlio che palesa la schietta fisicità del suo lavoro in un passeggiare ancheggiante e vorticoso. Ma la vera natura dei sentimenti di Salvatore esprime in profondità il suo dolore per un “vestito” che, in fondo, gli altri hanno voluto cucirgli addosso, gli “altri”, Palermo, il mondo che vive fuori dalla casa ma che violentemente ne condiziona la vita e il dolore.

Padre e figlio, illuminati in principio da due coni di luce che ne sottolineano la staticità, si muovono poi nella scena in maniera sempre più frenetica, con un crescendo enfatizzato delle luci espanse nel palco e dalla musica che fortissima accompagna la grottesca danza di Salvatore, una “Sei bellissima” di Loredana Bertè che il personaggio sembra cantare a se stesso. Si arriva freneticamente fino al parossismo di un bacio che pone finalmente padre e figlio a breve distanza, quasi innaturale, una discesa vorticosa verso un baratro di cui s’intravede già il fondo e che i due temono.

Emma Dante propone due personaggi che si raccontano attraverso un dialetto crudo e tagliente nello scambio di battute ma addolcito dalla fluidità di una lingua francese che s’inserisce quando la serrata lotta verbale dei personaggi lascia lo spazio al monologo dei ricordi della loro Michelle: la dea assente, la bellezza da cui tutto ha avuto origine e verso cui tutto tende, compresa la vita di padre e figlio.

Si rivela la cruda storia di due anime che vivono quotidianamente il dolore dell’abbandono a la solitudine dell’incomunicabilità ma anche e soprattutto la carnalità e la fisicità con cui ogni sentimento sembra essere vissuto in Sicilia e a Palermo, in particolare, luogo in cui la regista ha già ambientato “Carnezzeria”, opera rappresentata sempre al Musco e che nel 2003 le ha valso il premio Ubu.


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