‘Senza Confine’: l’immigrazione e le sue storie disperate

“Senza Confine” è l’opera prima di Giuseppe Lorenti, che non avrebbe potuto scegliere materia più complessa, come l’immigrazione e le sue drammatiche biografie, per il debutto letterario. Step1 lo ha incontrato nel suo appartamento catanese per chiaccherare un po’ sui temi del libro, sulle storie difficile di uomini costretti a scappare dalla propria terra e sulla scelta di raccontarle in una formula a metà tra diario e reportage.

 

 

 

Incominciamo con la genesi del libro. Cosa ti ha spinto a realizzare “Senza Confine”?

Dunque, il libro nasce da un idea di un’organizzazione che lavora nel territorio siciliano e che si occupa di immigrazione. Loro hanno avuto l’idea di raccontare storie di immigrati e mi hanno chiesto se ero disponibile a raccoglierle e a confezionarle in un testo. Ero interessato e così ho pensato un po’ per vedere come realizzare il progetto. Mi interessava raccontare queste storie in una maniera differente, meno da reportage giornalistico. Così mi sono documentato qua e la e ho saputo che c’è un progetto nazionale che prevede l’accoglienza, in alcune strutture apposite, di una categoria particolare di immigrati: i richiedenti di asilo politico. Quattro strutture per quattro province siciliane (e 4 capitoli del libro). In realtà c’è da dire che il racconto si è costruito strada facendo come una specie di salto nel buio. Non volevo andare lì intervistare quegli uomini e trascrivere immediatamente, volevo andare per conoscere e cercare degli stimoli da quella realtà tutta: immigrati, centri, città, operatori. E per fare questo dovevo per forza vivere in mezzo a loro.  

 

Quanto è stato faticoso superare certe barriere culturali?

Io sono una persona molto curiosa, quindi questa fatica non l’ho sentita fino in fondo. E’ ovvio, c’è una distanza naturale tra persone che vengono da mondi totalmente diversi. Ogni volta emergeva questa distanza e non poteva essere altrimenti data la lontananza tra i villaggi da cui provengono questi uomini e la nostra realtà. La religione ad esempio, mi ha colpito moltissimo. È stupefacente la loro dimensione religiosa, hanno una concezione della fede molto più forte della nostra. Mi è capitato di parlare con un ragazzo eritreo che era evangelico e che era dovuto scappare dal suo paese per che non poteva professare il suo credo. Sono entrato nella sua stanza e l’ho trovato che leggeva la Bibbia (che aveva in 3 lingue) con una dedizione ed un amore fortissimo.

 

Due aspetti si colgono nella lettura di queste “storie a margine”: l’infelicità e la tenerezza di uomini che hanno, in certi casi, oltre i quarant’anni. Sembra che spogliandosi dei loro vestiti e della loro terra, ritornino ad una condizione di insicurezza infantile..

Beh in parte si, ricominciare da capo a 40 anni provoca un grande smarrimento, dove il futuro si riduce ad un grande punto interrogativo. Quelle persone sentono l’esigenza di trovare punti di riferimento e credo che a tratti anche io ho rappresentato per loro un sostegno. Dici bene, come bambini hanno bisogno di conforto, di rassicurazioni e di figure di protezione. 

 

Raccontaci un aneddoto curioso che magari non è entrato nel libro..

Beh sicuramente c’era un abisso quando si mangiava. Io ho sempre cercato di rispettare le loro tradizioni, poche volte ho rifiutato di mangiare alla loro tavola, ma non nascondo un certo disagio nell’aver accostato la mia compostezza “occidentale” con “riso mangiato direttamente con le mani”. Non fraintendermi, non è il mio un giudizio negativo, ma certamente ho dovuto fare in conti con una diversità culturale davvero profonda. Io credo molto nella diversità come ricchezza, tutti uguali come dignità è ovvio, ma profondamente differenti come concezione del mondo.

 

“Senza Confine” è il racconto letterario del reale, è la mistione tra voli di introspezione personale e storie concrete. Quanto ti è costato emotivamente stare dentro al libro?

Moltissimo. Moltissimo, tant’è che all’inizio volevo fare tutt’altro. Il pudore mi ha frenato molto, in tutti i casi. Le prime due pagine sono piuttosto autobiografiche, e secondo me tutto il libro doveva essere cosi, ma poi il pudore, quel non volermi “spogliare” del tutto ha prevalso. È un mio cruccio perchè credo sarebbe venuto meglio. 

 

L’immigrazione di cui tu parli è anche la tua da un tuo modo d’essere e approcciarti col mondo?

Non lo so è troppo difficile risponderti. Posso solo dirti che questa opportunità mi ha costretto a viaggiare, confrontarmi e mi ha permesso di rompere un momento di staticità della mia vita. Stare a contatto col diverso è stato anche capire meglio me stesso e la mia identità.

 

Quanto è maturata la tua opinione sul tema dell’immigrazione?

Il fenomeno dell’immigrazione lo conoscevo già abbastanza. Certo questa volta è stata un’immersione più profonda scoprendo il disastro di storie pesanti. Sono passato da una fase passiva: ascoltare notizie di sbarchi, chessò in Tv o leggere qualche stralcio sui giornali, ad una fase attiva in cui dalla mattina alla sera stavo in contatto con quei ragazzi. Piuttosto quello che è bruciato in me è una grande impotenza. C’era un ragazzo egiziano a cui avevano da poco sancito il decreto di espulsione. Lui non sapeva ancora nulla e continuava a lavorare silenzioso anche tutto il giorno. Aveva diciotto anni credo e io ho pensato: ma questo ragazzo l’ha vissuta mai un’adolescenza?

 

La Sicilia, è presente sia come sfondo del libro, ma anche come attrice non protagonista, hai scoperto una Sicilia che non conoscevi?

No. Ho avuto la conferma che siamo profondamente degli stronzi (sorridiamo): pigri, indolenti. Non so, magari è bello anche perchè siamo cosi fanfaroni, fatto sta che ho visto delle cose stupende, ma valorizzate neanche per il 5%. Potrebbe essere un posto migliore di quello che è e questo mi fa rabbia perché nessuno investe sulla bellezza. Solo tanti  stupri edilizi e tanto disfattismo. Sono riuscito comunque a godere di pezzi di Sicilia poco conosciuti e che si fanno vedere solo ogni tanto e solo con una certa luce del sole.

 

Progetti per il futuro?

Voglio continuare a scrivere. Un progetto preciso non ce l’ho, magari potrei tornare a lavorare ad un reportage su Priolo a cui mi dedicavo tempo fa, vediamo. In tutti i casi mi piacerebbe uscire fuori dalla Sicilia e raccontare qualcosa di lontano da qui.

 

 

 

 

 

Giuseppe Lorenti

scrive per le pagine culturali del quotidiano “La Sicilia” e per il settimanale “Diario”. Attualmente lavora al centro di ricerca “F.Braudel” dell’Università di Catania dove si occupa di progettazione europea. Ha collaborato con Rai Tre e con il gruppo Abele di Torino


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