Wikipedia scopre la politica

NEW YORK – Al grido di “basta con la politica della televisione, sciocca, sciocca, sciocca!”, il quarantenne Jimmy “Jimbo” Wales, fondatore di Wikipedia, ha lanciato la sua offensiva politica. Sul web, ovvio. Il progetto è ambizioso e vorrebbe cambiare politica e politici, soprattutto il loro modo di fare politica.

Gli anni ’50 hanno visto sbarcare i candidati sul piccolo schermo, era l’era della tv. Oggi è il momento di internet. Lo stile, l’immagine tanto cara al tubo catodico deve essere messa in secondo piano, la strada da scegliere adesso è quella della “partecipazione, privilegiando pensieri e contenuti”, scrive Wales. Le armi di questa nuova cyberdemocrazia sono semplici, quasi scontate. Basate essenzialmente sull’ospitalità. E sulla democrazia diretta come nelle antiche polis greche, che anche all’accoglienza hanno sempre dato un valore sacro.

Wikipedia si espande e all’interno del suo dominio accoglie il sito Central Campaign Wikia, con mailing list e blog, per ricavare il proprio pulpito da oratore stile Hyde park londinese, dialogare con gli altri utenti scambiando opinioni, costruire nuove strade di democrazia forzando le campagne elettorali a incamminarsi lungo la strada digitale (e democratica) del web.

Wales si dichiara pubblicamente incapace di “depurare una politica corrotta”, ma in questo confida che lo aiuteranno gli utenti, sempre, non si transige, “senza chiedere il permesso a nessuno”. Una costante libertaria, topos ricorrente dei nuovi guru di internet.

John Perry Barlow è uno loro. Già autore di testi per i Grateful Dead, fondatore della Eff (Electronic Frontier Foundation) che si occupa di mantenere la democrazia sul web – la condanna della Sony per aver inserito nei suoi cd software pericolosi per la sicurezza degli utenti, si deve alla Eff – è l’autore del famosissimo manifesto sulla democrazia nella rete, che chiedeva ai governi di non inquinare il “cyberspazio, nuova dimora della mente”, lasciandolo libero “in quanto per sua natura indipendente”, mondo in cui tutti possono avere accesso senza pregiudizi o limitazioni di sorta.

Pierre Lévy, filosofo francese simpatizzante di internet, ha scritto recentemente che “la dittatura non sarà più possibile come forma di governo una volta che almeno il 50% della popolazione avrà accesso a internet”, mentre Stefano Rodotà ha definito la rete come “il più grande spazio pubblico che l’umanità abbia mai conosciuto”, che offre “opportunità d’intervento significative” come quelle verificatesi nelle ultime presidenziali americane.

Per l’ultima campagna elettorale d’oltreoceano, internet ha funzionato come collettore di fondi, a Howard Dean è servito per radunare più di 40 milioni di dollari, e più di 75 milioni di persone hanno dichiarato di essersi informate su programmi elettorali e sviluppi della campagna in corso, connettendosi online.

Marshall McLuhan scriveva nel ’64 che la televisione aveva “smontato e ricostruito Nixon” nel corso di uno show in modo da renderlo più digeribile al pubblico di casa. Internet apparentemente è un mezzo molto più flessibile della tv. Come proteggersi? Pensando a Wikipedia, frutto delle costanti manipolazioni online di milioni di persone, che la rivista Nature ha paragonato per accuratezza e serietà scientifica all’autorevole Enciclopedia Britannica.


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