Sicilia e Brasile: due periferie del ‘sistema mondo’

Il parallelismo tra Il Gattopardo e La guerra del fin del mundo, l’ambivalenza tra i protagonisti dei due romanzi e i tratti in comune di due dimensioni agli antipodi della Terra.
Due parti del globo così lontane, così diverse, così ‘periferiche’ appunto che però vengono accostate e paragonate da due grandi scrittori che su di esse hanno effettuato una profonda analisi storica e culturale. Sia l’opera di Tomasi di Lampedusa infatti, sia quella di Mario Vargas Llosa, rispecchiano le problematiche sociali, ideologiche e psicologiche di un periodo storico attraversato da profonde istanze rivoluzionistiche e lambito dal minaccioso spettro della modernità. Un tempo in cui entrano in crisi le certezze di un ordine sociale prestabilito, e ormai cristallizzato come tale, e in cui sono disconosciuti quei valori tradizionali che erano stati pietra miliare e fondamentale punto di riferimento per la sicurezza dell’individuo.

L’ipotetico accostamento di questi due scritti si basa essenzialmente su un tratto comune: il traumatico approccio con il cambiamento dello status quo, sia esso ‘obbligato’ a causa delle circostanze esterne, e quindi imposto dall’alto (come nel caso di una Sicilia borbonica ancora parte dell’Ancient Regime che deve fare i conti con il resto della penisola implicato già nei cambiamenti apportati da Garibaldi) o ‘imprescindibile e quindi imposto dal basso (come nel caso della furiosa e irrazionale ribellione della masse popolari ai ceti più alti alla scoperta dell’esistenza di un valore detto Democrazia). Da questi presupposti muove la Coscienza aristocratica: peculiarità propria sia del Principe Salina, che porta alto il nome dei Gattopardo ormai emblema della decadente aristocrazia siciliana ottocentesca, sia del personaggio plasmato a sua immagine e somiglianza: il Barone di Canabrava, esponente di una politica brasiliana fondamentalmente conservatrice.

Entrambi i protagonisti sono in grado di guardare alla realtà e alla loro posizione sociale, sebbene privilegiata, con occhio critico e con distacco. Se da un lato infatti il Principe Fabrizio assiste disincantato alla rovina del suo ceto, lasciando trasparire del suo sguardo solo un nostalgico velo di rassegnazione, anche il barone brasiliano si mostra consapevole dei radicali cambiamenti che il fanatismo irruente delle masse causerà al suo piccolo universo ordinato, educato e ben civilizzato, quello di un’elitaria aristocrazia in procinto di essere soffocata. Questa la duplicità che i due autori cercano di comunicare ai loro personaggi, collocati però su due basi differenti, due opposte concezioni di Nobiltà; mentre l’impegno politico portato avanti dal Gattopardo è intriso di tradizioni e non si gioca unilateralmente sul predominio del potere politico, in Brasile la nobiltà si configura sostanzialmente come statica detenzione del potere temporale. 

A prescindere, però, dalla condizione di partenza di entrambi i loci, uno solo è l’elemento destabilizzante che accomuna i due libri: il trauma dell’imposizione di valori, non scaturiti dalla progressiva evoluzione di un popolo, ma importati dove non se n’era mai sentita l’esigenza, con conseguenze catastrofiche perlomeno per l’assetto sociale ormai posto in discussione. Atterrito, difatti, il Principe Salina quando, con le spalle a muro, non può  più ignorare i cambiamenti che stanno sconvolgendo tutta l’Italia finchè “questa bellissima terra solo adesso si affaccia a panorama del mondo moderno”, e allo stesso modo sconvolto il Barone, quando di fronte ai suoi occhi apparentemente impassibili e freddi, viene messo a repentaglio il letto d’alloro su cui si era cullata l’aristocrazia feudale sudamericana sebbene macchiata della colpa dello schiavismo, nonchè economicamente ‘superiore’ a quelle masse popolari di cui adesso teme le irrazionali e violente rivolte in nome di un, fino ad allora sconosciuto, potenziale diritto di autoregolazione.

Di fronte a una terra che trema dunque, sia essa sicula o d’oltreoceano, i rappresentanti delle classi più potenti vivono entrambi la paura di veder crollare l’unico universo per loro plausibile, quello aristocratico. Eppure, se per certi versi il tentativo del Barone di Canabuona di restare imperturbabile di fronte all’evidenza di un mondo che davanti a i suoi occhi si sbriciola rovinosamente, si risolve in una imperfetta comprensione della situazione che progressivamente viene a delinearsi, d’atro canto la totale interiorizzazione del proprio ruolo sociale, porta il Principe di Salina ad una dimensione più complessa. Come l’autore riesce a esprimere infatti, la coscienza del protagonista lo renderà capace di astrarsi dal mondo circostante, di relativizzarlo, e infine, pur trovandocisi ormai completamente dentro, di compatirlo.

L’attualizzazione del tema centrale qui trattato – la modernità – punta i riflettori specialmente su un concetto: quanto aggressivo possa essere l’intento di mettersi alla prova oggi, di sfidare se stessi attraverso la tecnologia, e di aumentare a tutti i costi, il più possibile, il divario tra civilizzazione e barbarie… progetti tanto arditi da portare l’uomo moderno, se così si può definire, a creare egli stesso situazioni paradossali come quella a cui stiamo assistendo oggi, che osiamo definire “l’assurdità di un aberrante guerra preventiva”.


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