Continuità e Predittività

Guidare distrae la vista da banalità eppure importanti, come potrebbero essere le strisce che dividono le corsie di una strada. Importanti, certo, nella loro funzione che, non sempre a dire il vero, evita schianti fastidiosi, specie per chi non ha alcuna intenzione di subire le conseguenze di un incidente. Banali strisce se considerate nella loro essenza, nella loro dimensione spazio-temporale.

Guidare di notte, in una strada extramoenia, senza alcun intento illuminativo nei progetti di qualche amministrazione comunale, colloca poi la strada in questione in una dimensione onirica. È una strada che potrebbe esistere e potrebbe non esistere, ma a noi interessa solo nel momento in cui esiste, o meglio nel momento in cui la sua esistenza permette di recarci da un luogo a un altro, magari evitando spiacevoli incontri o scontri che le code di altre strade trafficate a volte procurano.

Cioè, l’esistenza è da rapportare all’uso che noi facciamo di una determinata res. Se è vero, però, che la libertà non si misura dall’assenza di regole, ma dall’eccedenza che offre numerose contingenze, ecco come non si può spiegare la carenza di beni strutturali che ci attanaglia. Non è difficile, perché la formula non è diversa dalla disputa secolare sull’anzianità da accordare all’uovo o alla gallina. Uso le strade perché ci sono o le strade ci sono perché le uso?

E lo stesso dilemma può estendersi a qualsiasi oggetto dell’ambiente terrestre, fino a giungere alle citate banali importanti strisce.
Giorgio Manganelli, – cito da Gianni Bonina, – riporta il discorso dell’esistenza a due categorie temporali: presente e futuro. “Senza il futuro come categoria il presente si sbriciola”, o meglio il presente è classificabile, e quindi tale, solo se considerato dalla parte del futuro, del non-ancora. Il presente stesso potrebbe essere tutto ciò che non è ancora avvenuto, ma che avviene, e pertanto della stessa natura del futuro.

È questo l’unico modo per salvare l’individualità nel tempo. La definizione del presente in rapporto al futuro è applicabile solamente ai periodi storici, o meglio al generale, e non alla singolarità. La condizione mortale dell’uomo impedisce infatti, almeno alla persona stessa, una propria collocazione nel presente-futuro, e lo destina all’inesistenza. All’invisibilità, che la letteratura aveva già sperimentato nelle città calviniane, ben dieci anni prima dell’intervento di Manganelli. Il presente di Marco Polo inciampa nell’impossibilità di varcare le soglie temporali, nonostante i riferimenti letterari adottati da Calvino iscrivano nella realtà irreale le città invisibili del testo.

Insomma, le utopie citate da Calvino, in quanto future, rendono presenti le città del regno di Kublai Kan. Città oniriche, “luoghi di sogni”, per tornare a Manganelli, votate all’esistenza o all’inesistenza, banali, importanti. Ma basta un’utopia alla realtà? E se l’utopia non può che rivolgersi al futuro, perché dovrebbe giustificare il presente? Forse, e questa potrebbe essere la risposta, nel presente possiamo già trovare il pezzo di futuro, costruire il nostro pezzo di futuro, che ci permette di avvertire il 2005 già nel 2005. Per quanto riguarda i percorsi mentali destinati a legare infiniti punti dello spazio, c’è ancora da lavorare sull’utopia affinchè il presente li preveda tra le grandi opere pubbliche.


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