Per Mario Luzi. Una vita per la poesia

Da poche ore Mario Luzi non c’è più e già sentiamo un vuoto sconfortante. L’ ‘estremo principiante’ se n’è andato silenziosamente e discretamente, così come ha vissuto la sua lunga vita, il suo secolo di impegno per la poesia e per la civiltà.

Nato a Castello (Firenze) nel 1914, Luzi si è spento nella sua Firenze che tanto spesso è stata per lui – con Siena, Pienza e l’intera Toscana – la musa ispiratrice.

Con la sua poesia ha attraversato, accompagnato, interrogato un secolo di inquietudini e di grandi mutamenti sempre animato – anche nel dubbio, qualche volta persino nello sconforto – da un’incrollabile fede nei valori umani e cristiani e nelle risorse infinite del linguaggio poetico.

La sua esperienza poetica comincia nel 1935 con una barca che si stacca dalla terraferma per intraprendere un viaggio alla ricerca delle emozioni elementari: “Amici, ci aspetta una barca…”. Gli amici sono forse i compagni della “terza generazione” dell’ermetismo fiorentino, i giovani letterati del Caffè delle Giubbe Rosse: Bo, Bigongiari, Parronchi, e poi Sereni, Caproni, Bertolucci. Insieme a loro e a tanti altri, Luzi è stato una delle grandi voci del Novecento europeo (T. S. Eliot era una sua grande passione, accanto a Rilke, Proust, Machado).

Le radici della sua poesia affondano, nella fase ermetica, nel romanticismo e nel simbolismo orfico-sapienziale europeo, da Coleridge a Hölderlin fino a Mallarmè e ai simbolisti francesi, a Rimbaud, Verlaine, Valery, di cui fu abile e fine traduttore. Ma la sua poesia non è affatto solo poesia pura. Negli anni Luzi è stato capace di grandi evoluzioni poetiche, di sorprendenti rinascite e metamorfosi. Dalle esperienze ermetiche e simboliste degli anni Quaranta e Cinquanta (Quaderno gotico, 1947; Primizie del deserto, 1952; Onore del vero, 1957) la parola poetica luziana è stata capace di reinventarsi, di gettarsi nel magma, di aprirsi al “fuoco della controversia”, riscoprendo nuove potenzialità dialogiche e colloquiali. La sua scrittura ha poi scoperto il teatro, si è aperta alla pittura e alla musica (Luzi amava De Andrè), la sua lucida vena saggistica non ha mai smesso di indagare con rigore luci e ombre dell’universo artistico.

A chi non ne conosceva i versi, resta il ricordo di un anziano signore alto, sottile, canuto, con lo sguardo accigliato e il piglio sicuro anche nella fragile fierezza dei suoi novant’anni. Da poco l’Italia aveva celebrato con lui questo traguardo con manifestazioni pubbliche e riconoscimenti. Divenuto pochi mesi fa Senatore a vita, Luzi era subito balzato agli onori della cronaca per le ferme prese di posizione contro l’attuale governo e in difesa di una Costituzione che era per lui il frutto prezioso del Risorgimento italiano e dell’umanesimo dei nostri padri, di Dante, Petrarca, Leopardi, Manzoni. Anche di fronte alle reazioni e alle polemiche di una classe politica che affermava per bocca di un suo noto ministro: “Non so che poesie scriva, ma dice delle sciocchezze” – la stessa classe politica che, rimpiangendo di non aver concesso la carica ad un certo più meritevole Mike Bongiorno (ora candidato alla nuova nomina, e affiancato nella rosa dei candidati da una ancor più meritevole Oriana Fallaci), avrebbe revocato il finanziamento per il convegno dedicato a Lucca al poeta senatore – Luzi aveva ribadito la ferma intenzione di esprimere con onestà le proprie idee. A chi recentemente gli aveva chiesto un giudizio su questa Italia aveva risposto citando il suo Simone Martini che al rientro da Avignone parlava di una “dolorosa Italia”, eco della dantesca “serva Italia di dolore ostello”. Ultimamente, Luzi faceva meno che mai mistero delle proprie opinioni su temi di grande urgenza che lo preoccupavano anche sulla soglia del suo “viaggio celeste”, quando avrebbe potuto ritirarsi dal mondo e godere degli onori che la sua carica e la sua fama gli elargivano. La guerra, la pena di morte, la battaglia per la giustizia e la difesa dei diritti umani erano questioni che gli stavano a cuore perché riguardavano da vicino ciò che era da sempre al centro della sua vicenda umana e poetica: la dignità e la verità dell’uomo, il senso profondo del suo “viaggio terrestre”, del suo essere-nel-tempo. A chi lo intervistava a proposito del ruolo della poesia e della cultura nella contemporaneità, Luzi non si stancava di rispondere ribadendo la necessità dell’impegno, la responsabilità della poesia, l’importanza del dialogo. E affermava: “La speranza è nei giovani, nelle grandi masse, in coloro che vogliono un futuro per sé e per i figli. L’augurio è che masse e partiti rinnovati riescano a parlarsi e ad ascoltarsi”, concludendo con un messaggio secco e nerboruto che oggi sentiamo un po’ come la sua eredità: “Sa che le dico? Alla fine concludo con il verso di una mia poesia pubblicata ne Al fuoco della controversia: “Ancora combattimento e ancora combattimento”.

La sua ultima raccolta è di qualche mese fa ed ha un titolo profondamente luziano, “La dottrina dell’estremo principiante”, che conferma lo sguardo sempre stupito di fronte al grande mistero del mondo anche da parte di chi ha raggiunto il punto estremo del pellegrinaggio terreno.

E forse non è un caso che l’ultima poesia di questa raccolta si apra proprio con l’immagine di una barca. È un’immagine aerea, il viaggio sembra adesso proiettarsi verso l’alto, e gli ultimi versi hanno il sapore di un commiato: “La barca, l’incantata/ carpenteria tra acqua e aria,/ sole e meria./ Lo so/ t’intenerisce l’erba/ di quella primavera/ fresca, con poche folgori,/ però non puoi brucarla/ se non col desiderio,/ non può altro che infliggervi/ il morso della sua non-possa/ la memoria quasi libidinosa./ Ti strazierebbe il cuore/ oggi quella pastura,/ infinito era il recinto/ di te, agnello, lo è ancora/ se non che troppo secolo è passato/ lì sopra con le sue nubi/ dove tu, perso, hai belato./ Addio, ora ben altro è il prato“.

Grazie, Senatore. E buon viaggio.


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