Internet, dalle idee alla realtà

La nascita di internet rappresenta uno scenario affascinante e sicuramente atipico nella sfera del progresso umano e sociale.

  Parte  del fascino sta sicuramente nel ruolo determinante che tutta l’informatica sta avendo nella rivoluzione digitale. La rete di internet ha ormai invaso anche la più piccola delle comunità umane, iniziando dalle grandi aziende fino ad arrivare ai più piccoli nuclei familiari, investendo quindi tutti i settori della società.

  Ma atipico è sicuramente il modo in cui “la rete” ha avuto il suo sviluppo. Come gran parte delle innovazioni tecnologiche nel settore delle telecomunicazioni e dell’informatica, anche le origini di Internet si collocano nel terreno della ricerca militare. E tuttavia queste sue radici sono state assai meno determinanti di quanto non sia avvenuto per altre tecnologie, e di quanto non sia attestato dalla “vulgata” storiografica sulla rete.

  Tale “vulgata” vuole che Internet sia stata frutto della guerra fredda strappato ai suoi destini guerrafondai da un manipolo di visionari libertari hacker (dove a questo termine restituiamo il senso originario di esperto informatico in grado di restare giorni interi davanti ad uno schermo per far fare ad un computer ciò che vuole).

  La realtà è stata diversa; pure, come tutte le leggende, anche quella appena ricordata nasconde una sua verità.

  Pur essendo vero che Internet abbia avuto la prima spinta all’interno di un contesto militare, è altrettanto vero che sia stata presa in mano da un gruppo di ricercatori avulsi da ogni forma di militarizzazione e che sia diventata subito patrimonio comune all’interno dei laboratori dove veniva progettata. Internet, quindi, è stata sempre caratterizzata, sin dai suoi primi passi, da una libertà di idee e di tecnologia.

  Comunque è anche vero che la sua “preistoria” sia stata dettata, anche se per pochi frangenti, da scopi bellici all’interno della “guerra fredda” che opponeva gli interessi di USA e Unione Sovietica. Un evento simbolico di questa contesa fu la messa in orbita del primo satellite artificiale da parte dei sovietici, lo Sputnik, nel 1957. Dopo il rapido superamento del gap nucleare, questo successo della tecnologia sovietica seminò nel campo occidentale, e soprattutto negli USA, una profonda inquietudine. La sicurezza della supremazia tecnico-militare su cui era fondato l’intero sistema ideologico americano era stata duramente scossa.

  Per cercare di rispondere immediatamente a questi timori, nell’ambito americano si concepì l’idea di creare un’agenzia il cui compito fosse quello di stimolare e finanziare la ricerca di base in settori che avrebbero potuto avere una ricaduta militare. L’idea circolava in varie sedi, ma fu il segretario della difesa Neil McElroy a convincere il presidente Eisenhower della necessità che tale agenzia fosse messa alle dipendenze del Pentagono. Oltre al vantaggio di stimolare l’attività scientifica con finalità strategiche, essa avrebbe anche avuto il ruolo di ridurre le tensioni tra le varie armi nella spartizione dei fondi dedicati a ricerca e sviluppo. Fu così che nacque l’Advanced Research Projects Agency, l’ARPA, la cui sede era situata al Pentagono.

  L’ARPA indirizzò per un primo tempo le sue ricerche in ambito spaziale, poiché dal caso Sputnik aveva preso avvio l’avventura, ma da quando queste attività furono trasferite alla NASA, all’ARPA si cercarono nuove vie di sviluppo. In quest’ambito un ruolo fondamentale toccò in sorte a J. C. R. Licklider, egli concentrò subito tutte le sue ricerche sul problema delle interfacce uomo computer e sul ruolo che le macchine di calcolo avrebbero potuto svolgere nel progresso umano. Licklider non restò per molto tempo all’ARPA, ma il suo ruolo fu decisivo e di esempio per tutti i suoi successori.

  Lasciamo per adesso l’ARPA e spostiamoci alla RAND, un’altra azienda tecnologica statunitense.

Qui nel 1959 iniziò il suo lavoro un altro dei cervelli che daranno vita al futuro Internet, l’ingegnere Paul Baran. Egli fu inserito nella nuova divisione informatica e si mise immediatamente a lavorare su come riuscire a garantire che il sistema rimanesse se non intatto  almeno operativo in caso di attacco nucleare. Le reti di comunicazione tradizionali su cui si basava l’intero apparato di controllo militare, infatti, erano estremamente vulnerabili.

  Lavorando su questo problema, Baran giunse a due conclusioni: la prima era che una rete sicura doveva avere una configurazione decentralizzata e ridondante, in modo che esistessero più percorsi possibili lungo i quali far viaggiare un messaggio da un punto ad un altro; la seconda, legata alla prima, era che il sistema di telecomunicazioni doveva basarsi sulle nuove macchine di calcolo digitale, in grado di applicare sistemi di correzione degli errori e scelta dei canali di comunicazione.

  Sviluppando i suoi calcoli Baran aveva elaborato un modello in cui ciascun nodo fosse collegato ad almeno altri quattro nodi, e nessun nodo avesse la funzione di concentratore, al contrario di quanto avveniva per la rete telefonica. In questo modo ogni nodo poteva continuare a lavorare, ricevendo, elaborando e trasmettendo informazioni, anche nel caso in cui alcuni fra i nodi vicini fossero stati danneggiati. L’assenza di un nodo centrale inoltre eliminava ogni possibile obiettivo strategico, la cui distruzione avrebbe compromesso il funzionamento dell’intera rete.

  Dopo vari tentativi di convincere i tecnici del colosso industriale a prendere in esame il progetto, nel 1965 Baran si diede per vinto e passò a lavorare ad altri temi.

  Proprio in quegli anni, in modo del tutto indipendente, un fisico inglese che lavorava al National Physical Laboratori, Donald Davies, era giunto a conclusioni assai simili a quelle di Baran, partendo da presupposti diversi. La soluzione trovata da Davies si basava sull’idea di suddividere i messaggi da inviare in blocchi uniformi: in questo modo un computer avrebbe potuto gestire l’invio e la ricezione di molti messaggi contemporaneamente suddividendo il tempo di elaborazione per ciascun messaggio in ragione dei blocchi di dati. Egli ebbe l’idea di denominare tali parti di messaggio “pacchetto” (packet), e il sistema di comunicazione “commutazione di pacchetto” (packet switching), alternativa alla “commutazione di circuito” su cui si basavano i sistemi telefonici tradizionali.

  Tutte queste idee e intuizioni teoriche, elaborate in sedi diverse e indipendenti, confluirono pochi anni dopo nel progetto Arpanet, la progenitrice di Internet.

 

  Arpanet

 

Bob Taylor, laureato in psicologia e matematica, aveva conosciuto Licklider nel 1963, facendo su di lui un’ottima impressione e stabilendo in seguito un rapporto di amicizia. Per queste ragioni, Ivan Sutherland, successore di Licklider all’Ufficio Tecniche di Elaborazione dell’Informazione (IPTO) dell’ARPA, lo chiamò come collaboratore nel 1965.

  Subito dopo Taylor rimuginava già a come poter collegare tra di loro le costosissime macchine del suo ufficio. Per questo si decise poco dopo a chiedere un finanziamento al suo direttore per un progetto volto a consentire la comunicazione e lo scambio di risorse tra i computer dei vari laboratori universitari finanziati dall’agenzia. Il progetto fu approvato e iniziò così la storia di Arpanet, la rete dell’ARPA.

 A sua volta Taylor decise di chiamare a sovrintendere agli aspetti tecnici del progetto un giovane e geniale informatico che aveva conosciuto anni prima, Larry Roberts. Roberts accolse l’invito, ma per molti mesi il problema di realizzare una rete veloce e affidabile rimase insoluto, finchè Roberts partecipò ad una conferenza alla quale intervenne un collaboratore di Donald Davies, che illustrò il principio della commutazione di pacchetto in tempo reale. Roberts accolse subito nel suo progetto l’idea di collegare direttamente i vari grandi computer, ogni nodo sarebbe stato gestito da un computer specializzato dedicato alla gestione del traffico (battezzato Interface Message Processor, IMP) al quale sarebbe stato connesso il computer che ospitava (host) i veri e propri servizi di elaborazione.

  La fase esecutiva del progetto Arpanet prese il via nel 1969. Il primo IMP (il vero cuore della rete, delle dimensioni di un frigorifero) fu consegnato alla University of California e fu immediatamente connesso al grande elaboratore SDS Sigma 7 della UCLA senza alcuna difficoltà. Il progetto dell’ARPA si era finalmente materializzato in una vera rete, costituita da due nodi connessi con una linea dedicata a 50 kbps.

  Mentre la BBN si stava occupando dello sviluppo degli IMP, un’ulteriore fucina di cervelli si stava occupando dei problemi della comunicazione tra host e IMP, e soprattutto della comunicazione tra host, e dunque delle possibili applicazioni che la rete avrebbe potuto sopportare.

  Al fine di coordinare le attività, tutti i giovani ricercatori coinvolti decisero di costituire un gruppo comune, che si sarebbe riunito di tanto in tanto per esaminare il lavoro svolto, e lo battezzarono Network Working Group (NWG).

  Il primo risultato prodotto dal NWG alla fine del 1969 era un rudimentale sistema di terminale remoto, battezzato Telnet (non ancora il telnet che ancora oggi è in uso, le cui specifiche risalgono al 1972). Ma questo sistema non costituiva una grande novità rispetto ai terminali dei mainframe che già erano in funzione da anni: bisognava trovare un modo per far comunicare gli host da pari a pari, un qualche insieme di regole condivise da computer diversi. Nelle discussioni venne l’idea di chiamare queste regole “protocolli”. Dopo un anno di lavoro finalmente le specifiche per il protocollo di comunicazione tra host erano pronte: esso fu battezzato NCP (Network Control Protocol). Poco più tardi venne sviluppato il primo protocollo applicativo vero e proprio, dedicato al trasferimento di file da un host all’altro: il File Transfer Protocol.

  Ma l’applicazione che forse ebbe la maggiore influenza nell’evposta elettronica. L’idea venne per  caso nel 1972 a un ingegnere della BBN, ray Tomlinson, che provò a adattare un sistema di messaggistica sviluppato per funzionare su un minicomputer multiutente (fu lui che ebbe l’idea di separare il nome dell’utente da quello della macchina con il carattere “@”). L’esperimento funzionò e il NWG accolse subito l’idea, integrando nel protocollo FTP le specifiche per mandare e ricevere messaggi indirizzati a singoli utenti.

  Nel frattempo la rete Arpanet, come veniva ormai ufficialmente chiamata, cominciava a crescere. I nodi nel 1971 erano divenuti quindici, e gli utenti alcune centinaia. Nel giro di pochi mesi tutti coloro che avevano accesso ad un host iniziarono a usare la rete per scambiarsi messaggi. La rete dell’ARPA era divenuto un sistema di comunicazione tra una comunità di giovani ricercatori d’informatica.

  Altra pietra miliare fu lo sviluppo dei primi giochi di simulazione. Il primo in assoluto fu Adventure, una versione digitale di Dungeons and Dragons, scritto in una prima fase da Will Crowther (uno del gruppo dell’IMP alla BBN). Il gioco ebbe un successo inaspettato, e generò una grande quantità di traffico sull’host dello Artificial Intelligence Laboratory, dove era stato installato.

 

 

 Da Arpanet a Internet

 

Ben presto anche altri paesi del blocco occidentale iniziarono a creare reti di ricerca, basate sul medesimo protocollo. Intorno alla rete dell’ARPA andava prendendo forma una rete di reti. A sancire la nascita definitiva di tale rete intervenne nel 1983 la decisione da parte della DCA di dividere Arpanet in due rami, per motivi di sicurezza: uno militare e chiuso, inizialmente battezzato defense Data Network e poi Milnet, e uno per la comunità scientifica, che ereditava il nome originario e che poi non avrebbe avuto limiti di interconnessione esterna. La vecchia Arpanet poteva così divenire a tutti gli effetti il cuore della neonata Internet.

  Parallelamente agli sviluppi amministrativi, anche l’evoluzione tecnica della rete procedeva, raggiungendo proprio in quegli anni tappe basilari

  A dare il via a tale esplosione fu ancora una volta la NSF. Dopo il successo dell’esperimento Csnet, l’ente federale per la ricerca si era ancora di più convinto della necessità di dotare il sistema universitario di una infrastruttura telematica ad alta velocità. Ma i fondi a sua disposizione erano insufficienti per tale obiettivo. Per ovviare a tale limite la NSF decise di coinvolgere direttamente le università nella costruzione della nuova infrastruttura. Essa si assunse l’onere di realizzare un backbone ad alta velocità che congiungeva i cinque maggiori centri di supercalcolo del paese con una linea dedicata a 56 Kbps, battezzato NSFnet. Tutte le altre università avrebbero potuto accedere gratuitamente a tale rete a patto di creare a loro spese le infrastrutture locali. Il progetto fu avviato nel 1986 ed ebbe un successo enorme. Nel giro di un anno quasi tutte le università statunitensi aderirono all’offerta della NSF, e si riunirono in consorzi per costruire una serie di reti regionali e locali, a loro volta connesse a NSFnet, la cui commercializzazione era appena iniziata. Come risultato il numero di host di internet decuplicò, raggiungendo la quota di diecimila.

  Il successo dei protocolli stimolò la nascita di altre reti di ricerca nazionali dei paesi occidentali. E ormai anche le reti private come Decnet, Compuserve e MCI decisero di connettersi a Internet. Come conseguenza fra il 1985 e il 1988 il backbone della NSFnet dovette essere aggiornato e un anno dopo il numero di host superò le 100 mila unità.

  A questo punto divenne evidente che la vecchia Arpanet aveva ormai esaurito la sua funzione. Tutti i nuovi accessi passavano per la più veloce, evoluta ed economica NSFnet. Fu così che qualcuno prese la decisione di staccare la spina. Nel 1989, a venti anni dalla sua nascita, il processo di smantellamento di Arpanet prese inizio.

  Per molti anni la rete era stata uno strumento, alquanto esoterico, nelle mani di poche migliaia di studenti e ricercatori di informatica. Ma la diffusione che conseguì alla nascita di NSFnet aveva cambiato radicalmente il quadreo demografico degli utenti.

  Algli informatici (accademici e professionisti) si erano affiancati i fisici, i chimici, i matematici e anche alcuni rari studiosi dell’area umanistica. Parallelamente la quantità di risorse disponibili cresceva in modo esponenziale, e nessuno era ormai più in grado di tenerne il conto con il solo aiuto della memoria.

  Tutte queste ragioni, che si sommavano allo spirito di innovazione e di sperimentazione che aveva caratterizzato gli utenti più esperti della rete, determinarono agli inizi degli anni ’90 una profonda trasformazione dei servizi di rete e la comparsa di una serie di nuove applicazioni decisamente più user friendly.

  


Dalla stessa categoria

I più letti

Dal controllo della velocità alla segnalazione di un imminente pericolo. Sono gli Adas, i sistemi avanzati di assistenza alla guida che aumentano non solo la sicurezza, ma anche il comfort durante i viaggi in auto. Più o meno sofisticati, i principali strumenti Adas sono ormai di serie nelle auto più nuove, come quelle a noleggio. […]

Un aiuto concreto ai lavoratori per affrontare il carovita. Ma anche un modo per rendere più leggero il contributo fiscale delle aziende. Sono le novità introdotte dalla conversione in legge del cosiddetto decreto lavoro, tra cui figura una nuova soglia dell’esenzione fiscale dei fringe benefit per il 2023, portata fino a un massimo di 3mila euro. […]

Bottiglie in plastica del latte che diventano dei colorati maialini-salvadanaio. Ricostruzioni di templi greci che danno nuova vita al cartone pressato di un rivestimento protettivo. Ma anche soluzioni originali di design, come una lampada composta da dischi di pvc, un grande orologio da parete in stile anni ’70 in polistirolo e due sedie perfettamente funzionanti […]

«Era come avere la zip del giubbotto chiusa sopra e aperta sotto: ecco, noi abbiamo voluto chiudere la zip di questo giubbotto». Indispensabile se si parla di Etna, dove fa sempre fresco. È nato così CraterExpress, la nuova proposta che permette di raggiungere la vetta del vulcano a partire dal centro di Catania, con quattro […]

Dodici mesi, 52 settimane e 365 giorni (attenzione, il 2024 è bisestile e quindi avremo un giorno in più di cui lamentarci). Un tempo legato da un unico filo: l’inadeguatezza. Culturale, innanzitutto, ma anche materiale, davanti ai temi complessi, vecchi e nuovi. Difficoltà resa evidente dagli argomenti che hanno dominato il 2023 siciliano; su tutti, […]

Il seme del cambiamento. Timido, fragile e parecchio sporco di terra, ma è quello che pare stia attecchendo in questi ultimi mesi, dopo i più recenti episodi di violenza sulle donne. In principio, quest’estate, fu lo stupro di gruppo a Palermo. In questi giorni, il femminicidio di Giulia Cecchettin in Veneto. Due storie diverse – […]

Mai come in campagna elettorale si parla di turismo. Tornando da Palermo con gli occhi pieni dei metri di coda – moltiplicata per varie file di serpentina – per visitare la cappella Palatina e qualunque mostra appena un piano sotto, lo stato di musei e beni archeologici di Catania non può che suscitare una domanda: […]

Riforme che potrebbero essere epocali, in termini di ricaduta sulla gestione dei territori e nella vita dei cittadini, ma che sembrano frenate dalla passività della politica. Sembra serena ma pratica- e soprattutto, attendista – la posizione di Ignazio Abbate, parlamentare della Democrazia Cristiana Nuova chiamato a presiedere la commissione Affari istituzionali dell’Assemblea regionale siciliana. Quella […]

Dai rifiuti alla mobilità interna della Sicilia, che avrà una spinta grazie al ponte sullo Stretto. Ne è convinto Giuseppe Carta, deputato regionale in quota autonomisti, presidente della commissione Ambiente, territorio e mobilità all’Assemblea regionale siciliana. Tavolo di lavoro che ha in mano anche due leggi su temi particolarmente delicati: urbanistica e appalti. Con in […]

Dall’agricoltura alle soluzioni per il caro energia; dalle rinnovabili di difficile gestione pubblica allo sviluppo delle imprese bandiera del governo di Renato Schifani. Sono tanti, vari e non semplici i temi affidati alla commissione Attività produttive presieduta da Gaspare Vitrano. Deputato passato dal Pd a Forza Italia, tornato in questa legislatura dopo un lungo processo […]