Lo scorso febbraio il Tar del Lazio ha dato ragione a uno studente che si è opposto allo sbarramento nel corso, ma anche quest'anno l'ateneo di Catania ha mantenuto la programmazione. «È indegno che tale sistema sia riproposto anche con una prova a pagamento», denuncia l'Udu. Che ha avviato un'azione contro l'università etnea
Unict, ricorso contro il numero chiuso a Psicologia Udu: «Chiederemo indietro i soldi pagati per il test»
Quando l’ateneo di Catania ha annunciato la fine del numero chiuso per la totalità dei corsi di laurea, è stata chiamata una «vittoria a metà». Proprio perché il test di sbarramento è stato mantenuto anche nell’unico cdl nel quale il Tribunale amministrativo regionale ha dato ragione a uno studente non ammesso, stabilendo l’illegittimità in quel caso dello sbarramento. Adesso l’Unione degli universitari annuncia la decisione di avviare un ricorso collettivo per tutti gli aspiranti allievi che non sono entrati in graduatoria a Scienze e tecniche psicologiche.
Lo scorso febbraio il Tar del Lazio si è pronunciato sulla decisione di chiudere l’accesso al corso del dipartimento di Scienze della formazione. «Il numero chiuso costituisce una eccezione rispetto alle ordinarie modalità di accesso alle università e non può essere istituito al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge», hanno stabilito i giudici. «C’è una sentenza chiara», esclama Giuseppe Campisi, coordinatore dell’Udu di Catania. «Una decisione nella quale si dice che in questo caso il numero programmato non è applicabile. Perché ostinarsi a ripresentarlo?», si chiede.
«È indegno che, dopo che il Tar abbia detto che non dovevano mettere il numero chiuso, tale sistema sia riproposto anche con un test a pagamento», prosegue. Per sostenere la prova, lo scorso 3 settembre i 1553 candidati – divisi tra Scienze dell’educazione e Psicologia – hanno pagato la quota obbligatoria di 40 euro. I posti messi a disposizione sono rispettivamente 230 e 300. «Andremo in fondo a questa storia e con il ricorso – annuncia il rappresentante – chiederemo anche indietro i soldi pagati per il test con cui ripagheremo le spese processuali».
La decisione di mantenere lo sbarramento in solo otto aree è stata presa dopo «un’analisi accurata di flussi e iscrizioni. Sulla base di questi dati, abbiamo convocato i direttori e lasciato loro piena autonomia di scelta», ha spiegato all’indomani dell’annuncio Bianca Maria Lombardo, delegata del rettore alla Didattica del rettore Giacomo Pignataro. Il numero programmato è rimasto per il timore che «potessero arrivare studenti in numero non sostenibile per l’organico di docenti e la disponibilità di strutture». Vincoli che sono imposti a livello ministeriale. «Il diritto allo studio e la giustizia devono essere aperte anche ai giovani cittadini catanesi», ribatte oggi Giuseppe Campisi. «Catania oggi è una città sempre più chiusa dove addirittura Economia, Lingue, Scienze Politiche hanno un test a pagamento per entrare. L‘Italia e Catania stanno perdendo i migliori ragazzi che siamo costretti a mandare fuori con gravi disagi per le nostre famiglie».