Caso Myrmex, per il futuro anche ipotesi Unict «Vogliamo solo passare un Capodanno sereno»

Giovanni Cantone è un tecnico di laboratorio. Lavora nello stabilimento Myrmex di via Gorgone Franco, da 14 anni. Faceva già parte dell’azienda quando era di proprietà della Wyeth e ha continuato a lavorarci durante i passaggi alla Pfitzer – quando il laboratorio si occupava ancora di tossicologia – e la successiva cessione alla Myrmex di Gian Luca Calvi. Insieme ai suoi 65 colleghi, già in regime di cassa integrazione dal febbraio 2014, è stato colpito da una procedura di mobilità. Prima ancora della scadenza degli ammortizzatori sociali, prevista per il prossimo febbraio.

Giovanni, in veste di rappresentante Cgil, ha partecipato all’incontro dello scorso lunedì a Roma, quando l’assessora regionale Mariella Lo Bello ha esposto il caso Myrmex al ministero delle Attività produttive, in presenza del Miur e delle altre sigle sindacali. «Abbiamo percepito segnali positivi – racconta Giovanni – ed è parso esserci la volontà di trovare una soluzione definitiva. Apprezziamo la tempestività e la buona volontà del ministero, e anche quella della Regione» . Sebbene i dettagli dell’incontro non siano stati divulgati, pare profilarsi la possibilità di un tandem pubblico-privato. Entrerebbero in campo l’università di Catania e altre imprese da individuare. È previsto un incontro tra i soggetti interessati nel corso di questa settimana, in vista della riunione del prossimo 10 dicembre nella Capitale.

«Abbiamo passato momenti veramente brutti, i miei colleghi e io – racconta il lavoratore – Sono in cassa integrazione a 970 euro, fino a febbraio, e ho un bambino di dieci anni da mantenere. All’età di 35 anni diciamo che non sono né troppo giovane né troppo anziano. Se una soluzione non dovesse venir fuori da questi incontri, non so dove altro potrei cercare lavoro. La mia è una mansione bassa se paragonata a quella dei ricercatori che lavorano nella struttura, ma è una mansione specializzata». Un fatto che renderebbe complicato il suo ricollocamento in un’altra azienda: «Qui in Sicilia non ci sono realtà simili e non posso certo abbandonare l’Italia lasciando mio figlio qui. Non mi sono mai vantato del mio lavoro, ma non posso trascurare il fatto che non si tratta di un mestiere qualsiasi. Senza togliere niente a nessuno, non sono un operaio che puoi facilmente mettere a lavorare da un’altra parte».

La sua storia in Myrmex comincia 14 anni fa, quando il laboratorio era ancora di proprietà della Wyeth. Poi il passaggio alla Pfitzer: «Ricordo quando lavoravo per i precedenti proprietari – racconta –, allora si faceva formazione, aggiornamento, si studiava l’inglese, c’era una visione industriale». Poi subentra Calvi, acquistando il laboratorio – in condizione fallimentare ma dal valore di circa 40 milioni di euro – al prezzo di un euro. Tutti i costi di cessione erano a carico della Pfitzer. «L’avvocato Calvi, dal suo arrivo nel 2011, ha presentato tre diversi piani industriali che non sono mai stati rispettati». A fare da cornice al suo racconto c’è lo scandalo esploso in seguito all’inchiesta del Fatto Quotidiano dell’ottobre 2013: il laboratorio, nonostante i tre milioni di fondi Miur, aggiudicati e incassati, continua a non ricevere commesse, e ad avere un terzo del personale dipendente impiegato ma privo di lavoro da svolgere. 

«Alcuni ricercatori – riprende il tecnico – erano costretti ad attivare i macchinari e farli girare a vuoto, con acqua, per evitare che si usurassero. Quando chiedevamo all’avvocato perché non arrivassero commesse, lui rispondeva che aspettava soldi dalla Regione, o dal Ministero. Eppure il laboratorio aveva ereditato le collaborazioni con il ministero dell’Istruzione e il Consiglio nazionale delle ricerche. Nel frattempo all’interno della struttura non cambia nulla, neanche dopo i tre milioni di euro statali. Per questo abbiamo consegnato un esposto alla procura». Ma anche perché, spiega Giovanni Cantone, la cassa integrazione è partita a febbraio 2014. Solo pochi mesi prima, a settembre 2013, era scaduta la clausola di cessione che impegnava il neo-amministratore a non licenziare nessuno dei dipendenti ereditati dalla Pfitzer.


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