Mazzei, un telefono bianco per gestire gli affari Chiamate e appuntamenti con il boss latitante

Un «telefono bianco» super riservato da prendere in mano soltanto per gli affari e le faccende più intime del clan dei Mazzei. È quello che avrebbero utilizzato i Carcagnusi durante la latitanza in una villetta di Ragalna del loro capo, Nuccio Mazzei. A conservarlo sarebbero state due persone molto fidate: Rosario Seminara, detto Saro mitra, e Salvatore Guglielmino. Quando quel cellulare squillava a chiamare forse era anche lo stesso Mazzei. Tra le telefonate che vengono citate nell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione antimafia Target c’è quello del 9 marzo 2015 in cui Guglielmino chiama Seminara per avvertirlo. «Senti – dice il primo – vedi che ha suonato fino a ora il telefono bianco». Il secondo risponde: «Gli chiami e gli dici che alle otto siamo lì». 

Senti, vedi che ha suonato il telefono bianco

A non averlo mai tra le mani, ma soltanto in via precauzionale, sarebbe stato Carmelo Occhione. Il panettiere di via Belfiore, quartiere Traforo, ritenuto il reggente operativo del clan per le strade di Catania in assenza di Mazzei. Quando però doveva utilizzare il cellulare lo chiedeva direttamente. Almeno, secondo quanto emergerebbe nelle intercettazioni telefoniche. Alla fine di marzo 2015 Melo chiama Seminara e chiede espressamente «il telefono bianco perché c’è una cosa urgente». Dall’altro lato della cornetta non si fa attendere la risposta: «Dammi il tempo della strada». Per riuscire a risalire al numero riservato e al suo intestatario però bisogna aspettare l’arrivo in scena di un certo Salvuccio. Un uomo, non identificato, che usava un sim intestata a un cittadino straniero, che più volte chiede di parlare con chi dispone del cellulare bianco. La sua interlocutrice è Gioacchina Fiducia, donna accusata di concorso esterno in associazione mafiosa, che avrebbe aiutato Mazzei nella latitanza. «Chiama sul telefono bianco, non devi parlare con me», spiega la donna. È il 17 aprile 2015 e da una settimana Mazzei era già stato catturato. Motivo per cui, secondo gli inquirenti, quella sim riservata continuava a essere utilizzata per gli affari del clan. 

Non devi parlare con me, chiama sul telefono bianco

La polizia inizia a scandagliare il traffico telefonico di alcune zone della città, finiscono sotto la lente d’ingrandimento i tabulati di Guglielmino, Seminara e dello stesso Salvuccio. Proprio tra queste chiamate gli inquirenti trovano un numero sospetto. Quello composto dall’ultimo dei tre uomini sotto controllo, dopo l’invito della donna a contattare il telefono bianco. L’intestatario del numero, secondo quando emerge dall’ordinanza di custodia cautelare, era il pregiudicato Maurizio Leotta. Per i primi quattro giorni quel dispositivo riservato si sposta in diversi punti della città: corso Indipendenza, via della Concordia e via Missori. Ma presto smette di funzionare e non manda più nessun segnale. 

Celle d’aggancio e intercettazioni telefoniche risulteranno comunque decisive per scovare Mazzei. La sua voce non si sentiva mai, ma a essere monitorati erano tutti quelli che l’accusa reputa i suoi più fidati uomini. Sono le 14.48 del 9 aprile 2015, un giorno prima della cattura, quando la polizia monitora l’autovettura di Giuseppe Cardi. L’uomo arriva nella zona di Santa Maria di Licodia, imbocca la provinciale per Ragalna e si ferma davanti un cancello di vico delle Rose. In quella villetta c’è nascosto il boss dei Carcagnusi. Le ipotesi su un possibile nascondiglio del capo fuori dai confini della città si erano fatte concrete qualche mese prima. Il 16 marzo le celle d’aggancio dei cellulari captano quello di Giuseppe Barbagallo. L’uomo si sposta verso Santa Maria di Licodia, poi si perde il segnale, pare perché il telefono viene spento, e successivamente riappare mentre rientra a Catania lungo via Palermo. Il giorno successivo il copione è lo stesso ma cambia il protagonista: Cardi si sposta fuori città, il segnale arriva da Piano Tavola e poi scompare. Gli investigatori a questo punto decidono di installare telecamere lungo la provinciale 160 e rilevatori satellitari in alcune macchine. Così si arriva alla villetta di Mazzei e alla fine della sua latitanza. 


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Il clan dei Carcagnusi avrebbe usato un dispositivo riservato durante e poco dopo la fine della latitanza del capo Nuccio Mazzei. In via precauzionale non sarebbe stato conservato dal presunto reggente Carmelo Occhione ma da due uomini fidati: Rosario Seminara e Salvatore Guglielmino. Come emergerebbe da alcune intercettazioni

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