Cara di Mineo, ipotesi chiusura definitiva in estate Rimasti 277 ospiti. «I tagli colpiscono i lavoratori»

Duecentosettantasette. A tanto è arrivato il numero degli ospiti del Cara di Mineo. Prosegue veloce lo svuotamento di quello che fino a pochi mesi fa è stato il centro di accoglienza per richiedenti asilo più grande d’Europa. «La chiusura definitiva potrebbe arriva già non oltre il periodo estivo», è la voce che circola tra chi ancora frequenta l’ex Villaggio degli Aranci. È la direzione impressa dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che già la scorsa estate aveva annunciato come obiettivo finale la chiusura della struttura. Dalle parole ai fatti il passo è stato breve tanto che, poco tempo dopo, sono iniziati gli allontanamenti dei migranti e i loro trasferimenti in diversi Cas (centri accoglienza straordinaria) disseminati per l’Isola. Alcuni, hanno scelto di non salire sugli autobus e di allontanarsi volontariamente uscendo, però, dal sistema dell’accoglienza istituzionale.

Il villaggio di diverse palazzine e strutture ricreative e di servizio realizzato dal gruppo Pizzarotti spa, a partire dal 1997, si sta svuotando. E a farne le spese sono da una parte i migranti e dall’altra i lavoratori che operano nel centro di accoglienza. L’introduzione del nuovo appalto aveva già bruciato oltre 150 posti di lavoro rispetto alla situazione precedente. Adesso, lo svuotamento e l’avvicinarsi della chiusura sta facendo il resto. «In pratica, sono rimasti sono coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato ma, tra loro, molti sono in malattia e alcuni hanno chiesto il congedo parentale», spiega a MeridioNews Danilo Parasole, responsabile Uil-Uiltemp per la vertenza del Cara di Mineo.

Addetti alla cucina, alle pulizie, amministrativi, coordinatori, insegnanti, operatori di base, psicologi, mediatori culturali, assistenti sociali e operatori legali. I tagli hanno colpito e stanno colpendo tutte le categorie di lavoratori che orbitano attorno al Cara. «Per le ditte del terzo lotto che si occupano della preparazione dei pasti – precisa Parasole – abbiamo impugnato tutti i trasferimenti perché non erano una soluzione accettabile». Riduzione di mansione e diminuzione di ore di lavoro (in alcuni casi ne sono rimaste appena 12 settimanali) a Trapani, Palermo e anche a Roma. «Per quanto riguarda gli addetti alle pulizie – aggiunge il responsabile Uil-Uiltemp – stiamo cercando di avere risposte per gli ammortizzatori sociali che permettano di avere un accompagnamento alla ricerca di lavoro per il periodo di un anno, ma c’è un contenzioso tra la ditta e la prefettura che rallenta tutto».

Intanto, molti lavoratori aspettano diversi pagamenti di stipendi arretrati. Qualche passo in avanti potrebbe arrivare la prossima settimana perché, per il 22 maggio, sono in programma due incontri importanti per la vertenza. «Abbiamo un appuntamento all’ispettorato del lavoro dove porteremo sul tavolo – puntualizza Parasole – la richiesta della regolarizzazione dei pagamenti delle mensilità per i lavoratori che si occupano dell’accoglienza, il tema del mancato riconoscimento degli scatti di anzianità maturati negli anni di servizio, l’inaccettabilità dei trasferimenti per gli addetti alla cucina e le preoccupazioni per le future prospettive occupazionali». 

Intanto, non sono mancate le proteste dei migranti. Le prime tensioni sono esplose quando alcuni ospiti si sono rifiutati di mangiare dopo aver scoperto che, nel nuovo contratto, anche il menù della mensa era cambiato: 80 grammi di pasta e polpette di vitello. Alcuni richiedenti asilo poi hanno manifestato anche occupando la sede stradale della Catania-Gela per lamentare il taglio dei ticket di viaggio utilizzati per muoversi all’esterno del centro. A marzo, a una delegazione di medici di Medu (Medici per i diritti umani) non era stato consentito di entrare nella struttura per continuare a prestare i servizi di supporto psicologico e psichiatrico. «La prefettura ci ha convocato e abbiamo concordato la prosecuzione delle nostre attività fino alla chiusura del Cara», spiega il coordinatore del Medu in Sicilia, Samuele Cavallone.

«Continuiamo ad assistere una trentina di persone, facendo una ventina di visite a settimana. Stiamo portando avanti i percorsi di psicoterapia – racconta Cavallone – per la cura dei traumi estremi che molti si portano dietro dopo le esperienze vissute in Libia. I nostri pazienti sono soggetti vulnerabili che hanno subito violenze che lasciano segni sia nel corpo che a livello di salute mentale». Cure riabilitative portate avanti da psicologi e psichiatri che adesso devono trattare anche nuove questioni. «Con molti pazienti stiamo affrontando soprattutto i discorsi legati al trasferimento e ai cambiamenti che questo comporterà perché non possiamo rischiare che arrivino impreparati». Intanto, tra le ipotesi per la struttura una volta che sarà svuotato c’è quella della demolizione della struttura cui i deputati pentastellati hanno contrapposto l’idea di farne un «polo di eccellenza europeo e mondiale in grado di valorizzare le capacità italiane nel campo dell’istruzione delle forze armate».


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