Ciancio, a processo l’affare d’oro del Sicily outlet village Ex deputato Rabbito e le falle nel protocollo di legalità

Arrivano insieme al palazzo di giustizia e, dopo qualche ora, si allontano allo stesso modo. Sono l’ex senatore Mirello Crisafulli e l’ex parlamentare nazionale Gaetano Rabbito chiamati come testimoni dell’accusa nel processo a Mario Ciancio Sanfilippo, l’editore ed ex direttore del quotidiano La Sicilia accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Crisafulli e Rabbito in aula affrontano una sola questione: il Sicily outlet village, costruito nel territorio di Agira, in provincia di Enna. Un affare da milioni di euro, con il centro commerciale realizzato dall’imprenditore e presidente dell’Atalanta Antonio Percassi e inaugurato nel 2010.

Sotto la lente d’ingrandimento della procura tutta la fase precedente. Quando c’erano da mettere insieme circa 30mila metri quadrati di terreni, stipulare i preliminari di vendita e cambiare la destinazione d’uso per consentire l’avvio dei lavori. In tutto ciò un ruolo fondamentale lo ha giocato proprio Rabbito. Poliedrico commercialista, ex parlamentare dal 1996 al 2001 con l’Ulivo, ma anche ex presidente dell’area sviluppo industriale di Enna fino al 2009. A introdurlo nell’affare outlet è un altro politico: Vincenzo Viola, ex parlamentare europeo ma soprattutto storico socio di Ciancio. «Con Viola ci siamo conosciuti a Palermo, all’Assemblea regionale – racconta Rabbito – Aveva l’idea di fare questa opera lungo l’autostrada Catania-Palermo. Ci siamo dati appuntamento e abbiamo guardato la zona, in un periodo in cui come Asi stavamo aprendo lo svincolo stradale di Dittaino».

Ma di cosa si è occupato in concreto Rabbito? «Ho individuato delle aree e poi mi sono interessato di contattare i proprietari e definire il prezzo». Nel lungo elenco di appezzamenti finisce pure una particella che in questa storia ha un ruolo chiave: quella identificata come numero sette al foglio 95. Perché in ogni atto di compravendita dei terreni dell’affare la condizione era sempre la stessa: per renderli effettivi il proprietario della particella 7 avrebbe dovuto vendere la superficie entro la fine del 2006 alla Dittaino Development. E in effetti ciò avviene, seppure con un passaggio intermedio: in un primo momento, infatti, a comprare il lotto è il commercialista Michele Micale che dopo qualche giorno rivende l’area, allo stesso prezzo d’acquisto, alla Dittaino Development. In quest’ultima società rientrava anche Ciancio, tramite la Svim di Vincenzo Viola e la Cisa, della moglie Valeria Guarnaccia. 

Micale è un uomo legato a doppio filo al padrone de La Sicilia. In virtù di un rapporto di lavoro collaudato, agiva per conto di Ciancio anche come amministratore delegato di alcune società dell’imprenditore etneo. «Possiamo dire che lei ha agito come prestanome in questo acquisto?», gli chiede il pm Antonino Fanara. «Sì, possiamo dirlo tranquillamente» risponde Micale. Descrivendo l’operazione della particella 7 come un’azione finalizzata esclusivamente a beneficiare di alcune agevolazioni tributarie che sarebbero scadute a fine 2006. A riguardo resta poco chiaro il motivo per cui fosse proprio quel terreno a vincolare il futuro dell’outlet.

C’è poi la fase due dell’affare. Cioè quando si vende a Percassi una sorta di pacchetto completo, fatto di autorizzazioni per il cambio di destinazione d’uso e i nulla osta amministrativi. Con l’imprenditore bergamasco (non indagato, ndr) rientrano poco dopo nella compagine sociale, con quoto di minoranza, il gruppo Viola-Ciancio. «Volevano qualcuno come punto di riferimento in Sicilia e per questo vengo nominato nel consiglio d’amministrazione», racconta Rabbito. Ad Agira i lavori cominciano, ma dentro i cantieri finiscono i mezzi di diversi imprenditori con problemi con la giustizia. Tra questi Vincenzo Basilotta, Mariano Incarbone e Sandro Maria Monaco. Gli ultimi due finiti nei guai nell’inchiesta Iblis per i loro rapporti con Cosa nostra. «Noi avevamo già fatto un protocollo di legalità», si giustifica l’ex parlamentare. 

Dura pochi minuti, invece, la testimonianza di Vladimiro Crisafulli, ex senatore del Pd bollato nel 2013 come «impresentabile» dalla commissione di garanzia del suo stesso partito. «Ha partecipato all’inaugurazione dell’outlet?», è la domanda della procura. «Credo di sì, mi hanno invitato». Il re delle preferenze però fa spallucce e sottolinea di non avere mai avuto nessun ruolo in quell’affare. L’ultima parte dell’udienza viene dedicata all’esame di Dario Montana, la cui famiglia nel processo è parte civile. Tra i temi la mancata pubblicazione del necrologio per il commissario di polizia Beppe Montana, ucciso da Cosa nostra il 28 luglio 1985.


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