Bimbo di due anni muore in auto, parla la psicologa «Nessuno è immune, poteva accadere a chiunque»

«Faccio una premessa: una professionista che si definisca tale non può parlare senza conoscere il caso specifico». Si può provare, però, a ragionare su criteri del tutto generali. E affermare, senza timore di smentita, che «nessuno è immune». È quanto sostiene Sara Pezzuolo, psicologa giuridica e socia della Società di psicologia giuridica, raggiunta telefonicamente da MeridioNews a proposito del caso del bambino di due anni morto ieri a Catania. Il piccolo è stato dimenticato in auto dal padre, un ricercatore di 43 anni del dipartimento di Ingegneria civile e architettura dell’università etnea. Il genitore avrebbe dovuto lasciarlo all’asilo, invece ha saltato la tappa della scuola ed è andato direttamente a lavoro, come ogni mattina. 

Intorno alle 14, quando la moglie medica lo ha chiamato per dirgli che il figlio non era all’asilo, l’uomo è corso alla macchina e ha trasportato il bambino al Policlinico. Lì, però, nonostante i tentativi dei medici, il piccolo è stato dichiarato morto. «Casi come questo – dichiara Pezzuolo – non sono diversi da quelli in cui una madre perde di vista il figlio al parco giochi. Leggevo di una vicenda di questo tipo nei giorni scorsi, negli Usa: una donna ha lasciato due figli a mangiare il gelato al parco, mentre rincorreva il terzo, più piccolo, che si era allontanato. Quando si è voltata, uno dei due era sparito». 

Se in questo caso, però, si può ipotizzare una responsabilità all’esterno (un eventuale rapitore o il bambino che corre via autonomamente), nella vicenda del parcheggio di Ingegneria non ci sono altre persone coinvolte. «Il punto è lo stato di allerta massimo che viene costantemente richiesto a un genitore – aggiunge la psicologa – Siamo ormai assuefatti da un sistema di attribuzione delle responsabilità all’esterno, verosimilmente come meccanismo difensivo». Invece, di dimenticare un bimbo che dorme sul seggiolino posteriore, in automobile, può accadere a tutti. «Senza distinzione di genere o livello socio-culturale. Sono casi rispetto ai quali, oltre al clamore iniziale che scatena i leoni da tastiera pronti a giudicare e condannare, a livello di sicurezza viene fatto poco».

Un esempio è il decreto legge che porta la firma di Giorgia Meloni, approvato ma mai diventato esecutivo, e che era stato chiamato «salvabebè». Imponeva dei sensori che si attivassero in caso di presenza di bambini sui seggiolini. «Come dimostra questa vicenda, ce n’è un grande bisogno». Il meccanismo sarebbe analogo a quello che impone degli avvisi sonori nel caso in cui chi viaggia sui sedili anteriori di un’auto non allacciasse la cintura. «Sembra quasi che la sicurezza delle persone che stanno davanti sia prioritaria – aggiunge l’esperta – Ma i minori, a norma di legge, devono viaggiare dietro fino al raggiungimento di una certa altezza, peso, età…». 

Indipendentemente dalla normativa, comunque, la morte di questo bambino deve servire «da campanello d’allarme sociale e riguarda la pressione alla quale ogni giorno siamo sottoposti – aggiunge Sara Pezzuolo – Il fatto che lui abbia dimenticato il figlio non è una giustificazione. Ma di quella dimenticanza vanno capite le motivazioni, va tutto contestualizzato. In casi come questo, inoltre, vista la relazione univoca tra il responsabile e la vittima, il padre ha bisogno di sostegno». Non solo lui, com’è ovvio: «Allo stesso modo deve essere data un’adeguata attenzione alla madre, che dovrà elaborare i suoi sentimenti. E dovranno farlo entrambi, come coppia genitoriale».

Subito dopo la diffusione della notizia, si è parlato di «amnesia dissociativa». Ma può essere questo il caso? «L’amnesia dissociativa è una mancanza del ricordo, che concerne informazioni personali e familiari. E lo stress, di cui parlavo prima, potrebbe esserne una ragione – conclude – Però non so se se ne possa parlare nel caso specifico, non ho gli elementi per dirlo». E, allo stato attuale, non li ha nessuno. «Per diagnosticarla si valuta, si studia, si fanno degli accertamenti psicodiagnostici, dei colloqui clinici e delle verifiche». Test che non sono ancora stati eseguiti. E che non cambiano, comunque, l’unica definizione possibile per la morte del bimbo di due anni: una tragedia.


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