Tangenti Anas, i nuovi spifferi dei dirigenti-pentiti «Ecco le mazzette per la strada del Giro d’Italia»

È il 20 settembre 2019 quando Antonino Urso varca l’ingresso della procura, al primo piano del palazzo di giustizia di Catania. Appena tre giorni prima lo stesso percorso lo aveva affrontato Giuseppe Romano. Sono «amici» ed entrambi, almeno fino a qualche settimana fa, lavoravano come responsabili del compartimento provinciale di Anas. Tutti e due adesso sono i pentiti della tangentopoli delle strade. Un sistema di mazzette che avrebbe messo sullo stesso piano funzionari pubblici e imprenditori compiacenti, disposti a mettere mano al portafoglio per ottenere vantaggi nei cantieri sparsi per la Sicilia. Il primo capitolo di questa storia risale proprio alla fine di settembre quando scattarono i fermi e Romano iniziò a sbottonarsi. Quella però è stata solo una scossa d’assestamento di un terremoto giudiziario che non è ancora concluso.

Il sistema era noto a tutti. Tutti sapevano

L’ultimo colpo inferto dai militari del nucleo economico tributario della guardia di finanza è quello assestato ieri. Dodici persone indagate e altri lavori finiti al centro del sistema illecito. Perché, stando agli inquirenti, dentro Anas ci sarebbe stata una regola precisa: «la corruzione dei funzionari infedeli era un vero e proprio modus operandi». Ed è proprio da qui che il 20 settembre parte Urso con i suoi segreti svelati davanti ai magistrati. «Ho iniziato a collaborare nell’attività illecita con Romano, che in sintesi è il mio migliore amico, dal 2015». La genesi della prima mazzetta risalirebbe ai lavori lungo la strada statale 417. «Ho consegnato a Romano settemila euro che poi ci siamo divisi a metà».

Inizia così il racconto del «percorso criminale» tra i due. Una lunga ascesa segnata dalla nomina di Romano a responsabile unico del procedimento del settore lavori straordinari di Anas, e dello stesso Urso come direttore dei lavori. «Lui (Romano) non aveva contatti diretti con le aziende, tranne in occasioni particolari e parlava solo con i direttori dei lavori – prosegue nel suo racconto Urso – Credeva che questa filiera lo allontanasse dalle responsabilità. Tutti sapevano che poi le somme arrivavano anche a lui. Il sistema era noto a tutti». E quando alcune ditte provavano ad arrivare Romano sarebbe stato lui stesso a rimandare tutte le incombenze agli altri attori del sistema. 

A fronte del risparmio l’imprenditore ci ha dato 18mila euro

Ma perché gli imprenditori pagavano? Il loro vantaggio, stando alla ricostruzione di inquirenti e dirigenti pentiti, derivava dalle false attestazioni nei lavori di ripristino del manto stradale. Dai carotaggi concordati a tavolino con le ditte fino alle scarificazione dell’asfalto al risparmio. Nei documenti però tutto sarebbe stato in regola: il privato risparmiava nei lavori e in cambio allungava una bustarella ai funzionari compiacenti. L’elenco delle opere fatte male è sempre più lungo e, nell’ordinanza di custodia cautelare, spunta anche la strada che collega Ragalna all’osservatorio Astrofisico di piano Vetore, sull’Etna. Sull’arteria provinciale i cantieri erano passati per via straordinaria in mano ad Anas, grazie a un’accordo con la Regione in occasione del Giro d’Italia 2018. A parlare della presunta tangente versata dalla ditta è sempre Urso. 

In provincia di Catania, il percorso criminale avrebbe allungato i tentacoli su alcuni lavori a Caltagirone sulla tristemente nota strada statale 284 che collega Randazzo a Paternò. In dieci anni sono stati almeno cinquanta i morti lungo quella striscia di asfalto. Spesso logoro e da ripristinare. Come avvenuto a maggio scorso con la consegna in via d’urgenza all’impresa appaltatrice dell’imprenditore Calogero Pullara, originario di Favara, in provincia di Agrigento. Un appalto da 634mila euro terminato in appena un mese. «Ho acconsentito – continua Urso a verbale – a registrare in contabilità uno spessore del materiale fresato in quantità maggiore rispetto al vero. A fronte del risparmio, l’imprenditore Pullara ci ha corrisposto una somma in contanti pari a 18mila euro».

Non a caso Urso usa il plurale. Perché, a intascarsi quei soldi, sarebbe stato anche Gaetano Trovato, da ieri in carcere. Il suo nome era già emerso nel primo filone dell’inchiesta, quando le microspie captarono la sua voce mentre discuteva sulla versione da fornire alle forze dell’ordine se beccato con una mazzetta: «Gli dico che ho avuto un problema e ho chiesto un prestito». «Che spacchio gli chiedi? La minchia? A un impresa?», replicava l’altro funzionario Contino che poi lo avvertiva: «Qui ti danno bastonate». Che adesso sono arrivate. 


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